Questo articolo nasce come trascrizione di note che ho scritto sul mio diario durante la lettura dell’ultimo libro che avevo sul mio comodino : Il rumore dei tuoi passi di Valentina D’Urbano.
Eviterò di raccontare la storia questa volta, magari di soffermarmi su alcuni passi e momenti descritti che ricordo di più, questo sì, lo faccio, ma senza scendere in particolari. Chi avrà voglia di leggerlo è liberissimo di farlo, chi l’ha già fatto e come me ha letto in precedenza Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi magari capirà e comprenderà meglio quello che spero di riuscire a trasmettere con queste mie parole.
Brizzi avrebbe definito, come ha già fatto nel libro a cui faccio riferimento, come tardo-adolescenziale gli eventi che si susseguono e che prendono vita nel lavoro di Valentina D’Urbano e personalmente non potrei essere più d’accordo perchè il tutto mi ha dato l’impressione di già sentito, vissuto in questi anni, di storia trita e ritrita riguardante la realtà di periferia di una grande città come Torino – in questo caso -, di quartieri in cui neanche la polizia mette piede, di gioventù lasciata a dover fare i conti con l’ambiente circostante e a dover crescere in fretta a causa delle difficili condizioni in cui immersa.
Nulla di originale, se vogliamo, già sentito, appunto, che ad un certo punto ha fatto nascere in me un “e allora?” “basta” “non vedo l’ora di finire”. Pensieri non molto belli da fare, me ne rendo conto, ma dal mio punto di vista ,o forse semplicemente a causa della maturazione che credo di aver raggiunto, e non solo per l’età ma per il percorso letterario che ho fatto, non possono più sopportare.
Il rumore dei tuoi passi è scritto bene, la storia scorre e non lo metto in dubbio, l’autrice ha fatto un buon lavoro ma, c’è sempre un “ma” con cui fare i conti e credo che in questo caso sia proprio questo: non se ne può più di “casi umani”, di parole che scorrono troppo in fretta e di immagini che si susseguono vorticosamente e che riempiono pagine e pagine.
Personalmente ho bisogno d’altro, ho bisogno di libri stimolanti e non piatti, in cui ogni parola abbia un peso, in cui la mente sia stimolata ad andare avanti per fame di conoscenza e non per inerzia. Personalmente ho bisogno di parole più ricercate che al tempo in cui lessi Jack Frusciante trovai, ora no. Prima avevano un senso, oggi meno.
Non è mia intenzione stroncare il libro della D’Urbano, anche se credo di averlo già fatto e mi dispiace perchè comunque è il suo primo lavoro e di strada ne farà sicuramente e glielo auguro con tutto il cuore, voglio solo dire che l’appiattimento che si vede in giro, che si sente in musica e in altre arti l’ho provato tantissimo, in questo caso e in altri, anche in letteratura. Ho trovato una matrice, un negativo – inteso come struttura base del racconto – utilizzati per costruire tutta la storia e non mi è piaciuto tanto. Alcune evoluzioni di vita dei personaggi le ho immaginate prima che arrivassi alla pagina in cui descritte: litigi, dialoghi, ambiente e altro…già visti e letti.
Con questo voglio solo dire che se scrivere è immaginare o raccontare qualcosa che veramente abbia un senso, forse è arrivato davvero il momento, come diceva anche Henry David Thoreau nella sua introduzione a Walden – ovvero la vita dei boschi – di narrarlo perché vissuto in prima persona e non per sentito dire. Thoreau ha vissuto davvero tutto ciò che ha descritto nel libro, Brizzi e la D’Urbano non lo so. Non è un crimine e neanche uno “sparare a zero” ma io sono stanco e ho bisogno, come già detto, di qualcosa di più.
Avrò sicuramente fatto arrabbiare qualcuno che magari adora il libro ma se c’è ancora libertà di esprimere quello che si pensa – principio su cui è fondato Libera-mente.net -, questo è quel che penso.
Scritto da Mac La Mente