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Incidente Aereo Malaysia Airlines MH370 – Parte Seconda

Creato il 27 marzo 2014 da Tuttoqua

Qualche giorno fa ho voluto dire la mia sui fatti e sulle speculazioni di questa che, evidentemente, non si puo’ altresi’ che definire una tragedia del trasporto aereo. Oggi voglio provare ad esporre la mia teoria, che contrasta con quanto gli inquirenti ci abbiano lasciato sapere finora (vedere più avanti).

Finora, abbiamo visto la ricostruzione dei fatti noti in ordine temporale, e poi abbiamo provato a speculare un po’, eliminando statisticamente le ipotesi meno probabili e rafforzando ciò che resta.

Le conclusione a cui sono giunto nell’articolo precedente e’ stata che e’ inutile speculare troppo. E che, probabilmente, si e’ trattato di un gesto dimostrativo da parte del comandante, o del primo ufficiale o di entrambi. Oggi potrei aver cambiato idea, dopo alcuni giorni di meditazione e di disegnini vari su mappe improvvisate, su cui ho cercato di inserire i dati di pubblico dominio e qualche congettura, cercando di arrivare a un’ipotesi che si tenesse in piedi.

Ma andiamo con ordine.

Prima di tutto, pare che un satellite francese abbia fotografato oltre cento rottami, di varie dimensioni, in un’area posta a sud-est di Perth, a circa 2.500 Km dalle coste australiane. Questo collima con gli avvistamenti satellitari precedenti, che ponevano alcuni presunti oggetti a circa 2.200 Km dalla città australiana. Non dimentichiamoci, infatti, che quell’area dell’Oceano Indiano e’ soggetta a forti correnti che, in pochi giorni, possono far viaggiare qualsiasi cosa per centinaia di chilometri. Finora non ho sentito nessuno parlare di un’analisi di tali correnti, in modo da provare a determinare velocità e rotta dei relitti, ma sono sicuro che qualcuno questi conti li avrà fatti e, forse, tenuti per se’ perché ritenuti utili ma non troppo affidabili.

Sta di fatto, ed e’ un grosso fatto, che nonostante gli avvistamenti, tutti gli aerei e le navi coinvolte finora nelle operazioni di ricerca non hanno trovato niente. Niente di niente. Come e’ possibile? Possiamo fare due ipotesi:

  1. L’area di ricerca e’ approssimativamente giusta, ma le dimensioni dell’area stessa, le correnti, le onde e le altre difficoltà a cui si può pensare rendono le cose difficili, come cercare un ago in un pagliaio. Anzi, qualcuno ha detto che in realta’ si stia ancora cercando il pagliaio. Il che ci porta all’ipotesi due.
  2. L’area di ricerca e’ sbagliata. Ma se l’area di ricerca e’ sbagliata, allora cosa sono quei rottami visibili dai satelliti? Potrebbe trattarsi di altro, magari di una nave affondata di cui non si sa ancora nulla. Oppure di spazzatura (non sarebbe la prima volta), anche se ritenere immondizia dei relitti che arrivano a misurare anche 23 metri e’ piuttosto difficile. Comunque, se l’area di ricerca e’ sbagliata, nel senso che e’ sbagliata di brutto, allora siamo punto e da capo, e tutto il castello di certezze e di ipotesi crolla.

Direi che la prima ipotesi possa restare di gran lunga la più plausibile, non fosse altro perché e’ quella che risponde meglio ai dati in possesso degli inquirenti, di quelli ufficiali e dei dilettanti come il sottoscritto.

Se l’ipotesi uno e’ buona, allora la storia resta: abbiamo un aereo moderno e super affidabile che parte da Kuala Lumpur in condizioni meteo ideali, dopo meno di un’ora compie una virata non programmata, subito dopo aver spento i segnalatori radio. Si dirige, dunque, a ovest, fuori rotta di alcune centinaia di chilometri, compie alcune manovre di salita e discesa (vedere sempre articolo precedente) e poi sparisce da tutto. Salvo essere poi rilevato da un satellite posto sull’Oceano Indiano che rileva un debole segnale (in realtà i segnali sono due, il secondo dei quali potrebbe aiutare a restringere ulteriormente l’area di ricerca), grazie al quale (ai quali) si può stimare che il velivolo si sia diretto a nord-ovest sull’Asia oppure a sud-ovest verso il mare aperto e il Circolo Polare Antartico, ben lontano da qualsiasi terraferma. Dalle immagini satellitari, la rotta sud-ovest sembra la più probabile, anche perché sarebbe stato praticamente impossibile volare su India, Pakistan e Asia occidentale senza essere avvistati da almeno uno dei tantissimi radar militari posti in un’area della Terra ben presidiata dai vari eserciti di tutto il Mondo, locali e non.

La domanda allora resta la stessa: che e’ successo?

Le indagini ormai sembrano concentrarsi esclusivamente sul comandante Zaharie Ahmad Shah. Pare che avesse seri problemi familiari, che la moglie lo avesse lasciato e che anche l’amante lo stesse allontanando. Un ex-pilota che lo conosceva ha dichiarato che costui non fosse nelle condizioni psicologiche adeguate a pilotare un aereo di linea. Altre persone vicine, invece, affermano con forza che mai e poi mai il comandante Shah avrebbe potuto commettere un gesto del genere. Insomma, qui si tratta di pareri molto soggettivi, espressi da gente che gli voleva bene e, magari, anche da chi invece lo odiava per qualche ragione (ex-collega pilota?), quindi vanno prese con le pinze.

La dinamica sicuramente aiuterebbe molto a comprendere i fatti, ma la dinamica sara’ forse possibile ricostruirla solo se si riusciranno a recuperare le scatole nere che registrano tutti i dati e tutte le conversazioni delle ultime due ore di volo. Perché dico forse? Perché se l’aereo ha davvero volato per cinque ore dopo l’ultimo segnale radar, e se a bordo erano già tutti morti oppure incapacitati, cosa mai potranno contenere le scatole nere? Forse nulla, se non silenzio e rumori ambientali e l’ultima rotta impostata. Ma di certo conterranno tutti i dati relativi alla caduta dell’aereo, quindi almeno potremo sapere perché il B777 e’ precipitato. Altra cosa sarebbe se a bordo fossero ancora tutti o in parte vivi durante le ultime ore, ma e’ difficile che sia andata cosi’.

A questo punto mi sbilancio, e scelgo una ricostruzione dei fatti diversa dall’ipotesi suicidio, alla quale preferisco rifiutarmi di credere fino a che qualcuno non potrà giurarlo, dati alla mano.

Ecco, dunque, la mia personalissima ipotesi.

Quando l’aereo e’ ancora in rotta, e dopo l’ultimo contatto radio con l’ATC (da parte del primo ufficiale), si verifica un’emergenza incendio a bordo, probabilmente di origine elettrica. La regola dice: mantieni il controllo dell’aereo, naviga verso un luogo sicuro e poi comunica. Allora vengono staccati tutti i contatti elettrici, la radio, l’ACARS, il transponder: tutto spento, per interrompere l’alimentazione e controllare la causa scatenante.

Il comandante, nella sua testa, conosce la posizione di almeno un aeroporto vicino, adatto a fare atterrare le 300 tonnellate di cui e’ al comando. Bastano pochi secondi e i il dato e’ tratto, Shah imposta la rotta e si dirige verso di esso, probabilmente nella Malesia settentrionale, diciamo il Sultan Abdul Halim presso la citta’ di Alor Setar (vedere mia cartina in fondo). Nel frattempo, a causa del fumo in cabina, le maschere dell’ossigeno escono dai loro alloggiamenti. Il pilota sa che, in un caso del genere, dispone di una decina di minuti per portare l’aereo a una quota più’ bassa, in modo da consentire a tutti di respirare prima che le bombole di ossigeno si esauriscano. Imposta una discesa, fino sotto i 4.000 metri, cosi’ che si possa respirare senza ausili (la cosa e’ confermata dai radar militari). Via le mascherine, va ancora tutto più o meno bene, ma il fumo in cabina non si placa, quindi i passeggeri iniziano a stare male e a perdere i sensi. Il fuoco, ovunque sia, rischia di mangiarsi l’aeromobile. Cosa fare? Salire, salire, salire ancora! Fino ad asfissiare l’incendio per mancanza di ossigeno. Non credo che questa fosse una manovra contemplata nelle checklist per le emergenze (o magari si), si tratta probabilmente di una scelta dettata forse dalla disperazione, ma anche dall’esperienza di trent’anni di carriera e di oltre diciottomila ore di volo. Shah e’ anche consapevole che rischia anche di uccidere tutti gli esseri umani a bordo, ma l’incendio non gli da tregua, quali alternative ha?

Nessuna: se lascia che l’incendio divampi, allora sono tutti morti comunque, con il rischio di precipitare in modo incontrollato e mietere altre vittime a terra. Forse lui aveva in borsa una maschera personale, una di quelle che aiutano a respirare anche in presenza di fumo (alcuni piloti ne portano sempre una con se’), la indossa, quindi riesce ancora ad essere cosciente e a manovrare. Il secondo pilota non ha la maschera e perde i sensi, Shah e’ solo! Sale fino a 45.000 piedi (circa 13.500 metri, e anche questo e’ confermato dai radar), oltre i 43.100 di cui il Boeing 777-200ER e’ capace. Di più non riesce a fare, perché si accendono gli allarmi di stallo oppure gli vibra la cloche. L’incendio forse si spegne, a causa della totale mancanza di ossigeno di cui si nutre, il comandante e’ allo stremo, ma e’ ancora abbastanza vigile e, comunque, non può fare altro per domare il fuoco. Si e’ giocato l’ultima carta che aveva. Pensa allora alla fase successiva: riportare l’aereo a terra. L’aeroporto che aveva in mente prima ormai e’ passato, tanto vale cercare di raggiungere il prossimo, di certo a sud della posizione attuale, diciamo il Kuala Namu, presso la citta’ di Medan (vedere sempre cartina in fondo). Imposta una nuova quota in discesa (magari ancora 35.000 piedi) e una rotta verso sud/sud-ovest, diciamo 190 gradi. A questo punto viene sopraffatto dal fumo e dallo sforzo e perde i sensi.

L’aereo scende da solo fino a 35.000 piedi, si livella, e continua la sua corsa solitaria verso l’Antartide, fino a quando, dopo circa 5.000 Km, il carburante si esaurisce e i motori si spengono. Il pilota automatico fa il possibile per tenere l’areo in aria ma deve cedere. Il B777 punta il muso verso il basso dopo lo stallo e precipita come un sasso in mare. Tutti gli occupanti a bordo sono gia’ morti da un pezzo, oppure sono incoscienti.

Fine dell’MH370 :-( Non resta che un pensiero di affetto e di vicinanza per tutte le vittime, i familiari, i parenti e gli amici.

Segue la mia cartina:

(clicca per ingrandire)

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