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Incipit: Il re degli alberi di Greg Keyes

Creato il 10 settembre 2011 da Martinaframmartino

Incipit: Il re degli alberi di Greg KeyesIl cielo si squarciò e fulmini saettarono tra le crepe della volta. Giunse un pulviscolo nero, un odore di fumo, rame e zolfo e poi un ululato da tempesta infernale.

Carsek si alzò, premendo le fasce insanguinate con la speranza che riuscissero a trattenere all’interno le sue viscere fino alla fine, qualunque fosse.”

 

Altro libro, o meglio altra saga, deludente. Si tratta delle Cronache dei regni delle spine e delle ossa di Greg Keyes, che inizia proprio con questo Il re degli alberi.

Si tratta di fantasy epica, con un nemico che torna dal passato e rischia di distruggere il mondo. Allo stesso tempo, visto che siamo in un’opera contemporanea, c’è una moltitudine di punti di vista, e la storia viene complicata da intrighi politici e religiosi, problemi con razze non umane, una magia di difficile comprensione e vari altri dettagli. C’è il grande eroe forte e invincibile dal passato tormentato, il prode cavaliere senza macchia e senza paura (al quale devo riconoscere di aver sfoderato una trovata brillante in un’occasione in cui le sue capacità guerriere non sarebbero state d’aiuto), una donna che non vuole rimanere indietro, il cattivo dei cattivi (che non è il male assoluto ma anche lui non scherza) che periodicamente torna in mezzo ai piedi, una regina in gamba ma dai poteri limitati, lo spadaccino errante che non è così menefreghista e rubacuori come potrebbe sembrare all’inizio e ovviamente una ragazzina ribelle che alla fine rivela doti insospettabili.

Cliché, tutti quanti. Sì, ne sono pieni anche i romanzi che amo. Cerca e Compagnia sono l’anima del fantasy, e anche se non tutte le opere presentano questi elementi sono comunque frequentissimi. Idem per il guerriero tormentato, o per un personaggio che deve celare la propria identità. E del sacerdote idealista e incapace che poi si rivela fondamentale cosa si potrebbe dire?

No, il problema non sta nell’utilizzo di questi elementi. Le storie parlano di persone, e di conflitti. Conflitti esterni, e conflitti interiori, e non sempre tutti vengono superati.

Il re delle ossa si legge bene. È affascinante, anche se non si capiscono tutti gli eventi. Alcuni snodi della trama rimangono oscuri, ma la consapevolezza di avere ancora davanti un lungo viaggio mette a tacere i dubbi. E infatti il secondo romanzo, Il principe delle ombre, apporta nuove informazioni e getta nuova luce su quanto accaduto. I dubbi spariscono e la storia procede benissimo. Qualcosa comincia a scricchiolare di nuovo con Il cavaliere sanguinario, anche se i dubbi, forti dell’esperienza dei primi due volumi, rimangono inascoltati. Ma inizia a essere troppo. Troppi problemi, troppo forzati, troppi imbrogli e troppi finti amici o finti nemici.

Con La nuova regina la saga precipita. Riporto la recensione che avevo scritto quasi due anni fa.

 

La conclusione di una storia è fondamentale. Se le ultime pagine di un romanzo o, come in questo caso, il volume conclusivo di una saga, sono appassionanti e ben scritte, tutta l’opera ne risulta illuminata. In caso contrario anche quanto di buono visto in precedenza perde parte del suo splendore e lascia il lettore deluso e disorientato.

Purtroppo con la lettura di La nuova regina è stata la seconda ipotesi a verificarsi. Se nei precedenti romanzi Greg Keyes sembrava essere riuscito a costruire un mondo coerente, e a narrare una storia coinvolgente incentrata su personaggi vivi e affascinanti, qui l’intreccio diventa eccessivamente complicato. Situazioni ribaltate in modi a volte troppo repentini per essere credibili, personaggi che mutano improvvisamente il loro modo di operare senza che ne venga fornita una valida giustificazione e colpi di scena che si susseguono uno dopo l’altro più per il gusto di sorprendere che per una reale necessità di trama rendono il romanzo inferiore alle aspettative.

 

Negli ultimi anni la fantasy è cambiata, tanto nelle storie dagli intrecci estremamente complicati quanto nei suoi protagonisti. Dai personaggi costretti a compiere scelte che non vorrebbero di Robert Jordan alle figure tormentate di David Gemmell e alle infinite sfumature di grigio di George R.R. Martin, il confine fra il bene e il male è diventato sempre più labile. La vittoria, se c’è, viene pagata a duro prezzo, e ben pochi escono dai drammatici avvenimenti che vivono senza venirne enormemente cambiati, spesso contro la loro stessa volontà.

Keyes percorre questa stessa strada proponendo scelte difficili, a volte devastanti, ai suoi protagonisti. Solo che in alcuni casi esagera, finendo per trasformarli in macchiette più che in persone reali, o snaturando completamente quanto da loro fatto fino a quel momento.

La storia di Stephen, per esempio, trova uno sbocco certamente a effetto, ma che lascia molti dubbi sia su cosa sia avvenuto in alcune scene un po’ troppo oscure sia sulla validità della sua conclusione. Se fin qui l’evoluzione del personaggio, progressivamente maturato attraverso tutte le traversie subite era stata interessante, all’improvviso tutto viene ribaltato e la figura che emerge da uno dei passaggi chiave del romanzo ha ben poco a che vedere con quella di prima.

Ancora peggiore è la metamorfosi di Anne, che diviene totalmente irriconoscibile. Troppo potente e disumana nelle ultime pagine, al punto da far apparire inutili e senza senso le peripezie dei romanzi precedenti. Se la conclusione della sua storia doveva essere questa, che bisogno c’era di farle subire tante traversie?

La trama che riguarda Muriele lascia completamente insoddisfatti. Dominata da una sensazione di non finito e d’inutilità, serve semplicemente a inserire un nuovo elemento per il quale, peraltro, non è stata fatta abbastanza preparazione. Il nuovo personaggio sorprende, anche se un piccolo accenno era già stato fatto in passato, ma non convince. E il suo duplice rapporto con Anne appare un po’ troppo forzato.

Uno dei cattivi della situazione, Robert, tanto potente e maligno nei precedenti volumi, qui è quasi assente. In un’occasione ancora riesce a dimostrare la sua crudeltà, ma alla fine scompare con una facilità eccessiva rispetto alla sua presunta invulnerabilità.

Il destino di Winna, mai troppo ben caratterizzata neanche in passato, fa addirittura sorgere dubbi sulla costruzione del mondo, dal Re degli alberi ai sefry e alle creature che animano Crotheny e le terre circostanti. Nemmeno la presenza di Aspar riesce a migliorare la situazione, e il ruolo e le decisioni di Fend non fanno che alimentare i dubbi.

La stessa sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato riguarda un po’ tutti, dal praifec Hespero al compositore Leoff e alla giovane Ausra. E il continuo porre i personaggi in estremo pericolo, salvo poi salvarli tranquillamente all’inizio del successivo capitolo a loro dedicato — capitolo che non è mai il diretto seguito del precedente, in modo da mantenere la suspance più a lungo — a volte con espedienti da deus ex machina, rende la costruzione della storia ripetitiva quanto inverosimile.

 

Il ribaltamento di prospettiva riguarda talmente tanti eventi, talmente tante figure, da risultare sconcertante. Anche perché viene effettuato più volte sugli stessi personaggi o sugli stessi eventi.

Chi è buono e chi è cattivo? Chi è potente e chi non lo è? Per cosa lottano i protagonisti? Forse nemmeno lo stesso Keyes lo sa. L’impressione è che nella storia ci siano troppi elementi non ben legati fra loro, come se fosse mancata una valida pianificazione iniziale.

L’autore stesso ha affermato che la figura di Aspar è diventata più importante rispetto alle sue intenzioni iniziali, ma forse anche altri elementi gli hanno preso la mano, rendendo la trama una matassa troppo difficile da sbrogliare.

Quanto al mondo stesso, a fine saga non si riesce più a capire come sia costituito. Fra skasloi, Re degli alberi, Giullare Nero, Strega di Sarn e Cavaliere sanguinario diventa difficile comprendere quale sia il reale pericolo da eliminare, e cosa stia effettivamente distruggendo il mondo stesso.

E dettagli come le antiche lingue alla fine appaiono nulla più che elementi di contorno, inutili per la trama e usati semplicemente per mostrare l’abilità dell’autore nell’arricchire la sua costruzione di dettagli di colore. Certo, sono anche questi elementi a rendere un mondo più realistico, ma a volte l’insistenza di Keyes sull’uso di parole dal suono strano finisce semplicemente per rallentare la lettura.

In definitiva, si tratta di una ben povera conclusione per quella che nei volumi precedenti era sembrata una delle saghe più interessanti degli ultimi anni. Peccato.

 

E ora un nuovo… incipit? Inizio? Una manciata di righe? Stavolta ho preso in mano un saggio, non un romanzo, e le frasi che riporto appartengono alla prefazione.

 

Quello dell’editore è un mestiere eminentemente culturale o è un’attività economica? È una pratica industriale o artigianale? È un mestiere solitario o un’impresa collettiva? Bastano pochi soldi per fare l’editore o bisogna prevedere grossi investimenti e rischi?



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