«non serve l’artificio, il lavoro è reale» J P
Non so bene cosa sia l’opera d’arte contemporanea, io sono solo un operaio dell’arte, sperimento. Nel mio studio è tutto morto, parlo con i muri, ogni tanto litigo con me stesso, ogni tanto mi do ragione, faccio piccole prove, compro qualche pianta per non stare sempre da solo, ma hanno difficoltà a sopravvivere perché non ci sono quasi mai; quando entro dopo un viaggio in due secondi vedo tutto, sembra un bacio, poi di colpo sono in uno spazio espositivo vergine che parla chi sa quale lingua e un team di persone poste ai vertici, non si sa come andrà a finire, regole d’oro che si corrompono sempre, non ci spostiamo di una virgola dal primo impulso, come schiavi in fuga si crea una energia circolare infinita e piano piano il pubblico viene coinvolto. E’ veramente un’esperienza collettiva, non c’è opera senza pubblico, il pubblico cerca di rispondere alle domande, cerca di finire l’esperimento ma il circolo non si chiude mai perché il pubblico è parte dell’infinito. (…) Lo spazio viene preso ‘per le palle’, lasciamoci fregare da tutti ma dallo spazio no, lì ti confronti con la realtà. Il lavoro al Magazzino d’Arte Moderna è un’estensione, la necessità di costruire qualcosa senza niente, per paura di fare qualcosa di non necessario, di gratuito, ho solo pensato a prendere la pelle dello spazio che sembrava così solido, e trasportarla in forma speculare, per corrompere la rappresentazione e appropriaci della bugia del rappresentare, creando un gemello fasullo che cerca la verità, due esseri con la stessa pelle, un viaggio dello spazio nel tempo. (…)
Sto cercando di costruire la macchina del tempo, il teletrasporto, ce ne sono tante in tutti i posti del mondo, di recente hanno scoperto un pianeta molto simile alla terra, pieno di acqua, a solo 20 anni luce da casa tua. II mio tempo passato si sovrappone a strati senza ordine, deve essere la dislessia, chi sa da quanto sono qua, non riesco a ricordare. Pensa a Michelangelo, lui non finiva i lavori perché credeva che si sarebbero completati con il tempo, nell’eternità, non mi sembra sbagliato, il lavoro è vivo e va avanti. Jorge Peris