Incontenibile Silvio. Ogni giorno ne inventa una. Il PPE lo scarica e Draghi gli risponde “niet”.

Creato il 16 gennaio 2013 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Tanto parla, e sproloquia Silvio, quanto tace Bersani che non si sa che fine abbia fatto. Piergigi sembra scomparso. Dopo l’overdose radiotelevisiva delle primarie, pare si sia ritirato a Camaldoli, dove i frati fanno ancora un ottimo amaro. Bersani non parla, sillaba. Preferisce che siano Monti e Berlusconi a combattere, a duellare, a offendersi in continuazione, a contendersi i voti dei moderati e dei cattolici indecisi se seguire le indicazioni di SS. Madre Chiesa o scegliere ancora una volta Belzebù. Memore delle gioiose armate, finite a inseguire Brancaleone alle crociate perse, il segretario del Pd tace piuttosto che dire puttanate, si è silenziato da solo, in attesa dei confronti televisivi veri, quelli con i candidati premier e non con i capi dei raggruppamenti. Silvio invece, furoreggia. Spunta dappertutto. Si traveste da melanzana e va alla Prova del cuoco. Assume le sembianze del tortellino e fa visita a Benedetta Parodi. Si finge malato di prostata ed eccolo a Medicina 33. Montifatica non poco a stargli dietro, il Professore ha un passo diverso, uno scilinguagnolo diverso, un modo di porsi mai sopra le righe per cui, anche quando da del “pifferaio” a Silvio, lo fa sussurrando, mai urlando. I competitor del centro sono loro, visto che i gentiluomini di CasaPound, hanno fatto sapere che loro con Monti non c’entrano una mazza e che, dopo anni di tradimento degli ideali della destra, schifano anche Gnazio e Giorgia. Magari un flirt con Beppe Grillo, così caldo e accogliente, ma né Monti Silvio rientrano nei loro indici di gradimento. A parte il Professore e Silvio, il resto sembra flanella, roba da ex salotti buoni coperti da un velo di polvere che la Storia ha depositato non potendo farne a meno. Ascoltare Fini e Tremonti, che teorizzano ancora l’importanza della loro presenza in politica, ci fa una tristezza della madonna, ci incupisce, ma ci fa anche un po’ paura. “Possibile – dice la nostra amica casalinga di Abbiategrasso – ancora loro?” Già, ancora loro, immoti, tinti, finti come una statua di Madame Tussauds, abbarbicati alle mura di Montecitorio e di Palazzo Madama come una qualsiasi piantina di gramigna. E ci fa paura anche il presunto nuovo che avanza perché, comunque, il repertorio di questo “nuovo” nasce già vecchio, figlio com’è del vetusto modo di condurre le questioni della politica, che sta massacrando un paese bisognoso di ripartire dalle fondamenta, dall’abc delle regole di convivenza civile. A Silvioquesti ragionamenti non fanno né caldo né freddo. Se n’è accorto il PPE che lo ha proditoriamente mollato, preferendogli la flanella azzimata dell’ex rettore della Bocconi, e perfino il governatore della BCE, Mario Draghi, al quale Silvio ha offerto nientemeno che la poltrona quirinalizia così, d’un botto, senza pensarci due volte. Il buon Mario Draghi lo ha gelato immediatamente con un “È impossibile”, risuonato a Palazzo Grazioli come un de profundis senza appello e definitivo. Nel frattempo, il Viminale ha fatto secche tutte le liste civette e rimandato a settembre quella della Lega. “Troppi nomi. Lista non chiara”, hanno detto i tecnici degli Interni. I leghisti, guidati da quel volpino che si chiama Roberto Calderoli, hanno infatti presentato una lista sulla quale spicca il nome di Bobo Maroni e, più piccolo, quello di Giulio Tremonti candidato premier. Fino alla fine sono stati indecisi se inserire anche quello di Umberto Bossi (Fondatore del partito, come Gramsci lo fu dell’Unità), e di Gianfranco Miglio (Teorico del Federalismo, come un Carlo Cattaneo qualunque). Ma da gente che non sa neppure come si presenta una lista, il Nord che si aspetta, la rivoluzione?

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