E ora parliamo di qualità. Sempre più spesso (e lo dico con estremo rammarico) mi trovo a solcare un romanzo o un racconto di un autore contemporaneo senza capirne l’obiettivo, il senso, l’intima ragione che ha portato l’autore a doverlo scrivere e condividere. La sensazione è che ci sia stata molta attenzione alla griglia, ai pannelli, al flusso narrativo o all’intreccio, ma poca per mettere e mettersi in discussione. È come se al lettore fosse offerta un’auto con il motore acceso, il GPS attivo, tutta una serie di sensori digitali, ma poi quando il viaggio è concluso, all’ultima pagina dell’ultimo capitolo, si ha la sensazione (citando Ilaria Rossetti nel suo articolo dedicato a Londra nella rubrica Esplorazioni di Orlando) «di correre senza arrivare da nessuna parte».Cosa ne pensa Paolo Di Paolo e come si porrà Orlando di fronte a questo bisogno di qualità intesa dal lettore come necessità?
È una domanda difficile. Questo è un discorso da lettore esigente che dipende però dalla specifica soggettività del gusto. In realtà la coesistenza di diverse forme di scrittura è necessaria per rispondere ai gusti differenti. Il problema è che tale diversità di offerta non ha le stesse possibilità di distribuzione e soprattutto di esposizione nei confronti del potenziale lettore, che a volte deve andare a cercare il libro che gli hanno consigliato dietro la valanga di best-seller del momento. Giacomo Debenedetti diceva: «Ai libri non si regala il proprio tempo, bisogna esigere un tasso da strozzino.» Vorrei che dalle due ore che un lettore potrebbe dedicare a Orlando esca fuori non soltanto un racconto, ma una chiave di riflessione. Non basta stimolare la curiosità del lettore con la narrazione, ma fornirgli la possibilità di un’esperienza, un’esperienza in cui ritrovarsi e mettersi in discussione, non per una soluzione ma per un punto di vista diverso, un dubbio cui non ha pensato. Quando Virginia Woolf ne Le onde dice: «come le foglie che tremano sempre, anche se non c’è nulla che le muove» cerca qualcosa nella scrittura, cerca qualcosa oltre la superficie e così faccio anch’io. È quello che cerca un lettore fortissimo e quindi con Orlando provo a rispondere a questa esigenza. Condivido l’idea di Tabucchi che diceva che la letteratura è fatta per inquietare e per turbare. Lampeggia come una boa luminosa e non si spegne. La curiosità verso l’altro, la volontà di vedere e tentare di capire la propria inquietudine, preferendo al settarismo una sana intransigenza che però non neghi una voce alla diversità.
Nel 2013 mi piacerebbe fare un numero monografico su Calvino perché ricorrono novant’anni dalla sua nascita. È andato via troppo presto, sessantenne e poco più, ma, come diceva la Ginzburg, è andato via perché aveva portato l’intelligenza dove non poteva fare altro che rompersi. Non c’è un periodo in cui Calvino non scrive, fino alla morte lui cerca, scava, esplora ogni possibilità della scrittura, con la paura di non avere tempo per osservare tutto, alla continua ricerca di parole e vie di comunicazione diverse, alzando sempre l’asticella per il lettore. Ecco, é questo che mi piacerebbe offrire con Orlando.
Per scelta e probabilmente per distinguersi dalle altre riviste letterarie, Orlando non ospiterà inediti di narrativa o di poesia, né recensioni a testi, vecchi o nuovi che siano. Non si corre il rischio in questo modo di diventare “Orlando centrici”, creando un luogo in cui il confronto è limitato ai collaboratori abituali della rivista?
Sì, si corre e fino in fondo. Le recensioni le escludo perché, trattandosi di un trimestrale, i testi sarebbero poco attuali e soprattutto si creerebbe il problema di dover scegliere quale autore o libro inserire e quale escludere e torneremmo al tema del soggettivismo. Per quanto riguarda gli inediti di narrativa e poesia, preferisco raccontare il mondo di un poeta o di un autore piuttosto che ospitarne un testo.
Negli ultimi anni mi trovo spesso a scrivere e a leggere su commissione, questo mi ha permesso di avvicinarmi ad autori o generi che per preconcetto, gusti o semplice sovrabbondanza di offerta editoriale, non avrei mai pensato di leggere. Ho compreso che accanto al primo tipo di lettura, quella per piacere o gusto della fuga immaginifica, se ne accompagna un’altra, quella in cui la voglia di comprendere ciò che appare così diverso da se stessi si accompagna alla paura di scoprire che tale diversità è più una nostra esigenza difensiva che una reale muraglia. È questo l’obiettivo che ha spinto Orlando a offrire già nel suo primo numero alcuni lavori su commissione ai suoi lettori?
L’idea è stata e sarà quella di proporre a voci (anche nuove) della scrittura e della letteratura un tema su cui esprimersi, liberamente e nella forma che riterranno più opportuna. Anche nel prossimo numero, che sarà dedicato a un tema che potremmo riassumere con la frase “dove mi sento a casa”, seguiremo la stessa logica. Il tema sarà analizzato ed esplorato in modi diversi, con reportage dalle case degli scrittori, piuttosto che una riflessione sulla casa intesa come porto sicuro, luogo da cui fuggire o racchiusa in un libro letto. Tutte le sfumature sono benvenute all’interno di una macro area tematica che è comune a tutti gli articoli e disegni.
Vorrei chiudere chiedendo al Paolo Di Paolo direttore di Orlando di raccontarci a cosa sta lavorando il Paolo Di Paolo scrittore, dopo il suo ultimo romanzo Dove eravate tutti (Feltrinelli 2011), qual è quindi il suo prossimo coraggioso obiettivo.
Sto scrivendo un romanzo che dovrebbe uscire nel 2013 con Feltrinelli e che s’intitolerà Mandami tanta vita. Sarà ambientato nel febbraio 1926 e narrerà due giovinezze che s’incrociano, una disposta a sacrificare tutto, con passione, per i propri ideali e l’altra che aspetta, si nasconde dietro tutte le difficoltà che caratterizzavano quel tempo: una classe politica corrotta, una realtà economica difficilissima, un clima sociale di grosse lotte. Oggi viviamo un momento altrettanto triste e di poca fiducia nel nostro margine d’azione, per questo è ancora più importante ricordare chi ha rischiato in un momento di oscurità politica e sociale ed è riuscito, ricordando che limitarsi a criticare ogni ventata di nuovo, perché si pensa che mai nulla potrà cambiare, non porterà di certo a qualcosa.
Riuscire invece ad aderire a un progetto sociale, politico, personale ma condiviso, diventare un fulcro di un gruppo di persone che si muovono nella stessa direzione, porterà a un arricchimento collettivo. Anche con questo si confronterà Orlando.
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