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Soli eravamo, di Fabrizio Coscia

Creato il 23 giugno 2015 da Diletti Riletti @DilettieRiletti

Come scegli i libri da leggere? È una domanda che mi fanno spesso, almeno quelli che conoscono la mia passione e il mio principale interesse. Di solito resto sul vago, perché sul comodino (chiamiamo così il luogo virtuale dove si accumulano decine di volumi in attesa) ho davvero di tutto: dai fumetti ai saggi, passando per un’ampia fascia di narrativa di tutti i generi, e libri già “consumati” che mi fa piacere avere sottomano, per compagnia e conforto.

Ma la parte più bella del mio non-mestiere di lettrice e blogger è quando, su consiglio di qualcuno, mi arriva un libro che altrimenti non avrei mai letto,  e non per demerito, ma per i motivi più disparati: per via di una continua produzione editoriale impossibile da seguire (ah, avere cento occhi, che sogno…), perché siamo inevitabilmente guidati dalla pubblicità, perché semplicemente non incontriamo sulla nostra strada alcuni autori. A volte è una fortuna (ammettiamolo!), a volte un vero peccato.

Per questo motivo sono grata a Stefania, l’amica che mi ha consigliato di leggere “Soli eravamo” di Fabrizio Coscia, edito da Ad est dell’Equatore. Non è un libro facile da definire: non è un romanzo, nonostante la voce narrante in prima persona racconti storie altrui e proprie; ma non è un saggio, perché la voce, pur attingendo alla storia della letteratura e della musica, ha un tono emozionato ed emozionante, quasi romanzesco.

Soli eravamo, dal titolo soavemente dantesco, è uno zibaldone di episodi –più o meno noti- tratti dalle vite di scrittori, musicisti, artisti, e cuciti con eleganza dai ricordi e dalle riflessioni del narratore: la passione e il desiderio di conoscenza dei grandi di un tempo filtrano attraverso le esperienze personali di un narratore –che è l’autore ma anche un personaggio, e proseguendo nella lettura diventa ogni lettore- che considera la cultura ornamento necessario e strumento per  una migliore convivenza civile. E l’atteggiamento deferente e riconoscente dello scrittore di fronte a tanta grande umanità è dichiarato fin dall’epigrafe che cita il critico letterario Roberto Bazlen:

Credo che non si possa più scrivere libri. Quasi tutti i libri sono note a piè di pagina. Io scrivo solo note a piè di pagina.

Fabrizio Coscia con un paziente lavoro di ricamo scrive delle note a piè di pagina ai colloqui tra Čechov e Tolstoj, all’amore “tigresco” tra Verlaine e Rimbaud e alla fuga in Africa –da sé, dall’amore, dalla poesia- di quest’ultimo; riporta dell’incontro mondano dall’esito grottesco quanto deludente tra James Joyce e Marcel Proust, accosta l’uccisione dei fedifraghi Paolo e Francesca all’omicidio di Fabrizio Carafa e Maria d’Avalos da parte del marito, nel capitolo che dà il titolo al libro.

Toccante il racconto degli ultimi momenti di Virginia Woolf e di Cesare Pavese, suicidi entrambi, entrambi attaccati alla vita –ci suggerisce l’autore- da un ultimo filo che può essere costituito da un paio di stivali o dell’acquisto di cialde.

Ma l’episodio che più mi ha emozionata (al punto che raccontandolo a mia volta mi sono venuti i lucciconi) è quello che vede Kafka prestare la propria splendente penna ad una bambola smarrita, dandole voce al solo scopo di consolare una bambina disperata. L’episodio poco noto –riportato dalla fidanzata dello scrittore, Dora Diamant– è di grande bellezza, ma serve all’autore anche ad affrontare un tema doloroso come quello del distacco e dell’accettazione del dolore.

Perché le “note a piè di pagina” scritte da Coscia non sono solo appunti e riflessione su vite altrui, ma diventano occasione di analisi della sua/nostra esistenza: qui torna l’immagine dell’abilissimo ago che cuce la cultura al quotidiano, fino a rendere l’insieme -grandi personaggi e uomini comuni- una sola trama.

L’arte, la musica, la letteratura non formano una stoffa preziosa da conservare in un cassetto, ma un tessuto multiforme da cucirci addosso e indossare ogni giorno per affrontare la vita: Fabrizio Coscia con questa sua opera sembra lanciare un grido di speranza per la cultura ormai negletta, drappeggiando attorno al lettore un abito fatto di mille colori e sfumature, che riflette la ricchezza della produzione umana con le infinite possibilità che offre a colui che ad essa si apre.

N.B. Per amor di precisione, il titolo completo è Soli eravamo e altre storie su: Rimbaud, Kafka, Joyce, Leopardi, Proust, Dante, Woolf, Hopper, Tolstoj, Caravaggio, Keats, Evans, Vermeer, Radiohead, Mozart.


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