Mi ha accompagnato mia figlia, che ha dieci anni. Uscendo dalla sala e notando che accanto allo stabile da cui ci stavamo allontanando c'erano dei ragazzi intenti a fare un tantino di confusione con un karaoke mi ha detto: "...mamma, ma quanto sono sciocchi quei ragazzi che stanno lì a cantare invece di approfittare di un incontro come quello a cui siamo state noi!!!".
Mia figlia mi ha spiazzata con questa osservazione e devo dire che mi sono un tantino emozionata.
Credevo che si sarebbe annoiata accompagnandomi alla presentazione del libro Le serenate del ciclone di Romana Petri.
Non è stato così e, anche se per causa di forza maggiore siamo dovute andare via prima della conclusione dell'incontro, ce ne siamo andate entrambe soddisfatte. Lei per aver incontrato una scrittrice in carne e ossa, una scrittrice che l'ha catturata pur nella sua tenera età. Io per aver conosciuto un'autrice che ha saputo incuriosirmi e tenere viva l'attenzione del pubblico attorno ad una particolare storia: quella di suo padre.
Una storia che prende avvio dal momento in cui suo padre - Mario Petri - viene al mondo quando, dunque, lei ancora non ha voce in capitolo non essendo venuta al mondo. Non un padre qualunque ma un uomo di spettacolo che sua figlia racconta in un libro il cui titolo deriva da una sua particolare inclinazione: il canto.
"Mio padre a 12 anni faceva parte di un gruppetto di bulletti dell'epoca (è nato nel 1922 per cui siamo negli anni '40) e, non sapendo quale criterio usare per decidere chi dovesse esssere il capo, decisero di fare una rissa: lui vinse e venne soprannominato Ciclone per l'enfasi con cui si battè. Da qui l'appellativo che riporto nel titolo del libro. Per il resto... mio padre aveva una bella voce e quando gli dissero che avrebbe potuto sfruttarla per guadagnare qualcosa iniziò a fare serenate alle ragazze per conto dei loro innamorati". Ed ecco l'origine del titolo.
Come mai ha atteso 25 anni prima di scrivere un romanzo su suo padre?
"La sua figura, a dire il vero, compare anche su altri miei romanzi precedenti ma mai in modo dominante. Non potevo scrivere su di lui perchè... bhè, perchè i dolori non sono tutti uguali. Ci sono perdite che costano di più e perdite che costano di meno. La perdita di mio padre mi è costata tantissimo e per parecchio tempo non solo non sono riuscita ad immaginare di scrivere di lui, ma non sono nemmeno riuscita a sentirlo cantare nelle registrazioni. Dopo 25 anni ho sentito il bisogno di parlare di lui, era arrivato il momento. Onestamente sulle prime non sapevo come farlo. Di solito si parla di una persona scomparsa per saldare i conti rimasti in sospeso. Io con mio padre non ne avevo. Leggendo l'incipit del libro La provincia dell'uomo ho avuto l'ispirazione e decisi di iniziare da quando nacque. Così è stato".
Nel libro c'è anche la figura del padre di lui, suo nonno...
"Mio nonno era una persona molto crudele. Mio padre non ha avuto, con lui, il rapporto che un figlio dovrebbe avere con suo padre. Generalmente le colpe dei padri ricadono sui figli ma ci sono delle anime che si evolvono e trasformano in amore le violenze subite: una di queste è stata mio padre".
Il libro è strutturato in diverse parti. A quale è più affezionata?
"Si, nella prima io non ci sono visto che narro la sua nascita. Sono molto affezionata alla prima parte perchè mi fa pensare che la vita diventa il ricordo di un ricordo ricordato. Il ricordo è qualche cosa già avvenuto: il ricordo del ricordolo può mutare, aggiungendo o togliendo. Nella seconda parte passo dalla narrazione in terza persona alla mia narrazione diretta, cercando di mantenere gli occhi della bambina che ero".
Che immagine aveva lei, bambina, di suo padre?
"Mio padre aveva molta prestanza fisica, era ben piazzato tanto ha ha dei trascorsi da pugile. Per pagarsi le lezioni di canto si battè come pugile professionista sfruttando la sua prestanza fisica per arrivare ad un obiettivo superiore, perfezionare il canto. Quando iniziò con il cinema io ero sul set con lui dalla mattina alla sera e ne avevo una visione mitico-eroica visto che lo vedevo vestire i panni di personaggi mitici e importanti. Questo era mio padre per me, bambina. Era, sì, mio padre ma anche un uomo dalle multiforme. Era un uomo molto onesto, che non ha mai accettato compromessi. Amava dire le cose che pensava e, a volte, questo gli è costato caro".
Lei regala al lettore anche uno spaccato di storia dal 1922 al 1985. Narra di un'aggressione da parte di suo padre ad un capo fascista. Come accadde?
"Mio padre aveva un pessimo rapporto con suo padre e quando egli minacciò mia nonna con un'accetta, allora mio padre se ne andò. Mio nonno a breve si ammalò e morì. Mio padre chiese un permesso per rientrare in occasione del funerale e in quella circostanza si trovò a vivere la morte con lo sgomento di non poter mai più recuperare un rapporto. Questo è il periodo in cui avvenne quell'episodio. In uno di quei giorni era di spalle e sentì dire da qualcuno che le sue erano belle spalle per una mitragliatrice. Si girò senza pensarci e dette un pugno in faccia a colui che aveva pronunciato quelle parole: qualcuno gli disse di scappare perchè aveva colpito un ammiraglio fascista. Per quel fatto venne condannato a morte".
E sua madre per salvarlo arriva anche a...
"A farlo passare per morto".
Questa è solo una parte della chiacchierata fatta con Romana Petri, proseguita poi parlando dei tanti personaggi famosi che giravano per casa sua e tutto il resto, fino alla morte di suo padre.
Il libro non l'ho ancora letto ma, prima o poi, lo leggerò.
L'incontro con Romana Petri rientra nell'ambito della rassegna Incipit messa a punto dall'Associazione Santa Croce con la collaborazione della libreria Il Gatto con gli stivali. L'autrice è stata intervistata dalla Presidente dell'Associazione, nonchè collega giornalista, Marisa Colibazzi.