Incontri – francesco baiano: storia e memoria della ceramica di deruta

Creato il 25 luglio 2013 da Goodmorningumbria @goodmrnngumbria

Benedetta Tintillini

di Benedetta Tintillini

Vengo accolta nel negozio – laboratorio – museo “Antica Fornace” di Deruta, e subito il capostipite, sig. Francesco Baiano, mi accompagna, con cortesia ed entusiasmo, nella visita alla sua collezione di ceramiche, stupefacente compendio della produzione Derutese dal 1400 ad oggi.

Mi racconta dei suoi parenti, signori Margaritelli, che diedero vita nel 1904

Benedetta Tintillini e Francesco Baiano

alla prima fabbrica di ceramiche di Deruta, con la quale, lungo un’attività di circa 40 anni, hanno collaborato i migliori artisti ed artigiani dell’epoca.

Al momento del fallimento della fabbrica, dopo una vita a lei dedicata, il signor Francesco fu liquidato non economicamente, ma con un ingente quantitativo di manufatti di tutte le fogge, che ora danno vita a gran parte della sua collezione.

Giovanni e Francesco Baiano

Per far fronte alle urgenze economiche sopraggiunte decise di aprire un negozio di maioliche nei fondi di sua proprietà, e fu in quel momento, mi racconta con gli occhi che gli brillano al ricordo, che demolendo un muro venne alla luce un’antichissima fornace per la ceramica, dove rinvenne un enorme numero di frammenti di ceramica databili dal 1400 in poi: tazzine, coppe simili a quella che diede vita alla devozione della Madonna dei Bagni, bicchierini per testare la temperatura del forno e quant’altro, tutto custodito con cura ed amore.

Il vaso al centro riporta una curiosa immagine del clistere

Continuiamo il viaggio attraverso gli oggetti, dai vasi da farmacia, alcuni dei quali, molto curiosi, che oltre al cartiglio recante la scritta del contenuto, presentano anche illustrazioni sull’uso del medicamento (ce n’è uno, per esempio, che cattura la mia attenzione, con la raffigurazione della somministrazione di un clistere….)

Noto che meticolosamente il signor Francesco ha apposto accanto ad ogni vaso il nome del realizzatore; con lo scopo, mi spiega, di tramandare la conoscenza e conservare la memoria.

Arriviamo alla collezione di 200 piatti, tutti diversi l’uno dall’altro, attraverso quali ogni autore ha espresso il suo genio e la sua maestria.

Vedo esempi particolarissimi dove la ceramica è riuscita ad imitare il peltro, l’argento, o completamente coperti di oro zecchino. Altri con dei lustri particolari, il cui maestro assoluto era Alpinolo Magnini, che usava bruciare le ginestre per ottenere un particolare risultato cangiante, e della cui ricetta il signor Francesco è in possesso.

Alcuni pezzi sono in rilievo, lavorati prima nella forma e nei rilievi, ed in seguito nei decori.

Oggetti particolari ed insospettati come i piatti da parete con il doppio fondo per contenere il liquore, o la produzione di De Rigu, artista di Città di Castello, che realizzò oggetti di uso comune come oliere e quant’altro a forma di ingranaggio meccanico, mi colpiscono e stupiscono al tempo stesso.

Vi sono dei pezzi con riproduzioni dei mosaici ravennati, la cui differenza da quelli realizzati oggi, mi dice il signor Francesco, sta nel fatto che le incisioni erano fatte totalmente a mano e non con stampi.

Oltre alla fantasia e l’arte che ogni ceramista o decoratore apporta, anche le tecniche cambiano e si evolvono nel corso della storia.

Il decoro a terzo fuoco, per esempio, fu introdotto presso i ceramisti di Deruta da Arcangelo Paoloni della Richard Ginori, tecnica la cui resa cromatica è particolarmente delicata.

L’artista russo Zipirovic poi, attivo a Deruta dal 1920 al ’27 insegnò ai decoratori l’uso del chiaroscuro nei ritratti, prima solo delineati.

Mi mostra poi le miniature campionario dei pezzi realizzati da Mario Strada, riconoscibilissimi con il loro decoro “Arlecchino”, ed i cui bozzetti sono al Museo della Ceramica di Deruta.

Pezzi ottocenteschi di Enrico Pignattelli, il cui medico curante, Angelo Micheletti, divenne grazie al loro incontro, decoratore anch’esso.

Tale e tanto è l’affetto che lega il signor Francesco alla fabbrica ed alle maioliche che ha voluto, su una lavagnetta, scrivere i nomi di tutte e 300 le persone che, a vario titolo, e con vari incarichi, lavorarono nella Fabbrica dal 1904 al 1940.

L’eredità è stata ora raccolta dal figlio Giovanni, che dipinge ceramiche dai decori sia classici che innovativi, nonché riproduzioni presenti nella loro raccolta, e che accompagna i clienti ed i curiosi nella visita del suo negozio molto speciale.

L’Antica Fornace è uno scrigno inaspettato di tesori … di arte, di passione, di dedizione e di vita… incrocio delle tante vite e delle tante storie legate a questi capolavori, che la famiglia Baiano, con passione ed orgoglio custodisce, per tutti coloro che vogliono lasciarsi affascinare.



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