Paolo Meoni usa l’immagine fotografica per entrare nella biologia del tempo. Scardina l’ortodossia dell’immagine come falsa identificazione di un’oggettiva visione, per mettere in moto il condizionale dell’immagine, il suo potenziale restato inespresso fino al momento in cui l’ultimo lavoro di intromissione dell’artista sia terminato. Meoni spinge oltre l’enunciato della staticità dell’immagine con una serie di strumenti tecnici (scanner, video, intromissioni di polvere e terre ) per studiare una velocità vitale sul soggetto, al di là del fardello temporale in cui l’esser stato corpo o luogo avverato in uno scatto, in un’unica possibilità di rappresentazione, sia superato dal condizionale possibile della manipolazione dell’artista; infatti spesso parla di genesi del risultato dell’immagine, un esatto ossimoro che slega ogni l’indole oggettiva dello scatto dalla passività di un unico ricordo. Nel mio lavoro – racconta l’artista toscano – ho sempre cercato, attraverso il tempo video, di mostrare il tempo fotografico partendo appunto dalla fotografia , oppure alludendo all ‘idea di scatto fotografico. Quest’attitudine , ma inversa, l’ho adottata anche in alcune serie di fotografie mostrando l’atto del sovrapporre come ad evocare lo scorrimento del tempo video.Quindi il mio lavoro in una certa misura parla della fotografia nei video e parla del tempo video attraverso la fotografia. Uno dei miei lavori, Rewind (2011) è costruito lasciando la macchina da presa fissa che inquadra una scatola che si satura nel corso del tempo di foto di varia provenienza per lo più legate al corso della mia vita e della vita di persone che conosco alle quali ho chiesto delle foto significative della loro. Le foto che ho scattato io e quelle che mi sono state donate vengono riposte in questa scatola dei ricordi nel corso di 18 minuti .Il tempo viene scandito attraverso il singolo rintocco delle foto che gettate nella scatola una ad una , simulano lo scatto fotografico stesso ovvero il divenire stesso dell’atto fotografico. In questo modo ri-scatto letteralmente l’immagine sia attraverso quindi il ‘suono’ della caduta ( come fosse il click dello scatto..) sia mostrando attraverso l’atto video una nuova visione dove i tempi legati alla singole foto si mescolano in un collage video in divenire assolutamente imprevedibile .
1) Da dove partire? Dalle tracce. Più di ogni figurazione, i tuoi corpi sono e restano tracce in linee parallele, intoccabili fra di loro oppure dispersi in tracce di tempo o di buio.
Da dove (partire) ? Una traccia non è altro che un atto apparentemente mancante, abbandonato ,un gesto disperso nel tempo e nello spazio. Si tratta spesso di rintracciarlo, sottolinearlo, mostrando la parte mai vista, l’inconsuetudine nella consuetudine dell’oggetto ritratto , quell’oggetto del desiderio che si ritrae sempre nel corpo dell’immagine del corpo della pelllcola del reale.
2) Il tempo come persona. Il tempo è un fascino, malvagio o benevole si è incapaci di fuggire dai suoi interrogativi esistenziali. Il tempo scorre egoisticamente al di là dell’umana volontà, contenitore illimitato di eternità in cui la singola vita umana può goderne di una quantità incerta. Il suo battito “evidente” è il click di ogni fotografia che ognuno conserva. Così s’incarna il tempo?
Il tempo è sempre incarnato nel reale. La fotografia e il video disincarnano un istante o più istanti mostrandone un immagine. Io cerco di mostrare ciò che sta fra le immagini, e ciò che le immagini mostrano di cercare al proprio interno.
3) Domanda per un giovane artista. La funzione dell’unicità dell’arte, in tempi in cui i valori di conoscenza sono istituzionalmente tecnologici, quale cammino percorre?
L’arte resta per me una suggestione , una visione cieca di una visione cieca, un oggetto del futuro di cui non si ha percezione di nessuna funzione . L’opera si colloca in uno spazio afono a qualsiasi percorso : Basta a se stessa ,e neppure il pubblico-mondo è necessario
4) Quello che è imperdibile e quello che si è già perso, in ogni caso, nelle molteplicità dell’Arte di questo secondo millennio.
Esiste una condizione che potremo dire senza mezzi termini esistenziale e quindi che appartiene all’arte e in quanto tale mancante di una qualsiasi linearità e prevedibilità. L’arte per quanto mi riguarda quando inizia ad illudere un idea che s’incarna in un immagine è spesso dentro ad una condizione che altrove e in altra epoca fu chiamata Flanerie…Le ragioni del mio lavoro sono dentro ad un palinsesto di sentimenti che scopro nei percorsi quotidiani in un altrove che ci circonda senza margini come ad esempio lo sono le nostre periferie, nel loro essere sfrangiato, in perenne movimento, inattingibili..
Paolo Meoni
Nato nel 1967 a Prato, dove vive e lavora, Paolo Meoni usa video, fotografia e altre tecniche di acquisizione e manipolazione delle immagini per una ricerca incentrata sulle mutazioni del territorio. Dopo aver vinto nel 2010 il premio Terna03 nella categoria Megawatt, Meoni ha avuto mostre personali nelle gallerie Casamasaccio, Dryphoto e Die Mauer, ed ha partecipato a “Palinsesti 2010 – Storyboard” di San Vito al Tagliamento e al 32° Film festival mediterraneo di Montpellier.
Nel 2012 ha partecipato alla collettiva del MAN di Nuoro “L’evento immobile. Sfogliare il tempo”, alla selezione del Premio Terna tenutasi al Multimedia Art Museum di Mosca e a “Mondi”, di nuovo alla galleria Die Mauer di Prato.