di Benedetta Tintillini
La location: il Teatro Concordia di Monte Castello Vibio. L’ottocentesco teatro più piccolo del mondo, indiscusso scrigno di arte e cultura.
L’evento: il primo anniversario degli On the Night, la cover band umbra dei Dire Straits che torna, ad un anno di distanza dal suo debutto, proprio sul palco del Teatro Concordia dove ha avuto la sua consacrazione, a festeggiare gli ottimi risultati conseguiti in questo primo anno di concerti in giro per la regione e non solo, e che, in questa occasione, registra il primo dvd live. Conosciamo da vicino questa nuova band che sta facendo parlare di se per la bravura e la fedeltà al gruppo di riferimento, vivacizzando il panorama musicale della nostra regione.
Incontro i ragazzi in camerino, e Jacopo Magrini, il front man (il Mark Knopfler della situazione) e portavoce del gruppo risponde per tutti.
L’idea di fondare un gruppo simile è nata da me e da Lorenzo, il bassista, siamo i più giovani e siamo compagni di scuola dal liceo e si, nonostante non avessimo conosciuto il periodo di maggior successo dei Dire Straits la passione per la loro musica è stata ed è tuttora molto grande. Dopo una prima esperienza con un’altra formazione, sempre come tribute dei Dire Straits, attraverso annunci abbiamo formato questo nuovo gruppo che ora ti presento.
Si, vedo che è molto variegato anche per età, mi piacerebbe conoscere, per conoscervi meglio, anche le vostre attività nella vita.
Tra alcuni di noi ci sono una ventina di anni di differenza infatti, ma ti posso assicurare che quando suoniamo non si sentono assolutamente, la musica è un ottimo veicolo per superare ogni tipo di differenza, di pregiudizio, di distanza fra le persone. E’ un legante indiscusso fra le persone ed un elemento imprescindibile della vita.
Del gruppo fanno parte oltre me (voce e chitarra solista) e Lorenzo Venanzi (basso), entrambi laureandi, Gianluca Dominici (chitarra ritmica) che sta in aeronautica, Daniele Rosignoli (tastiere) negoziante, Roberto Tomassi (batteria) che lavora come infermiere all’ospedale di Perugia.
Insieme agli On The Night
In realtà in sala prove nasciamo più due anni fa. L’intenzione è di riproporre il più fedelmente possibile l’atmosfera del gruppo originale, quindi curiamo in modo maniacale le esecuzioni fin nei particolari, ciò ha comportato un anno di preparazione prima di poter proporre un intero spettacolo.
A proposito di fedeltà dei suoni, Knopfler nella sua carriera ha usato moltissime chitarre, dalle Stratocaster alla Gibson Les Paul, qual è la vostra dotazione?
In effetti ha usato moltissime chitarre, ha tuttora a New York un liutaio che le produce per lui: Rudy Pensa.
Fortunatamente comunque il suo suono è sempre estremamente riconoscibile, ed io nel mio piccolo ho cercato di essere fedele anche in questo. La Stratocaster rossa l’ho fatta costruire sulle specifiche di quella di Knopfler da un liutaio di Prato, Fabrizio Paoletti molto apprezzato sia in Italia che all’estero, e che ha prodotto chitarre, per esempio, per Elisa e la Pausini in Italia e per Richie Sambora dei Bon Jovi all’estero. Utilizzo poi la Les Paul e la Dobro, oltre ad una chitarra classica. Con questo tipo di setup si può suonare tutto il repertorio dei Dire Straits, anche se in alcuni concerti Mark cambiava anche 12/13 chitarre…
Riguardo invece la tecnica del fingerpicking? Knopfler suonava senza plettro, e so anche che era mancino ma suonava a destra per avere più potenza per i bend su tre corde…
Verissimo, anch’io uso la tecnica del fingerpicking. Credo che la fedeltà di una tribute sia anche questo. Proporre i pezzi di Knopfler con il plettro non avrebbe senso, e non restituirebbe lo stesso tocco mobido. In una parola, non sarebbe fedele all’originale. Ho studiato per 10 anni chitarra classica quindi non ho avuto difficoltà ad adattarmi alla sua tecnica. A differenza di Knopfler io sono destro e suono a destra.
In Italia ci sono molte tribute dei Dire Straits?
Non molte rispetto ai gruppi più famosi come i Queen o i miti nostrani come Vasco o Ligabue, forse per la loro breve carriera, hanno pubblicato solo sei album, e per la loro scelta di tenere un basso profilo, senza clamori, senza adottare il mito dei rocker “maledetti” o altro. Sono infatti riconoscibili per la loro musica, e non per la loro immagine. Ora comunque stanno crescendo di numero anche perché è un tipo di musica ideale da eseguire nei locali e piacevole più o meno alle orecchie di tutti.
A tuo parere le tribute sono avvantaggiate o svantaggiate nel proporsi rispetto alle band che propongono musica originale?
Alcuni sostengono che le tribute portino via spazi ai gruppi che propongono pezzi propri, io non sono assolutamente d’accordo, ritengo che ognuno abbia i propri spazi ben distinti. Diciamo che la tribute è un’arma a doppio taglio. Nel senso che sicuramente non potremo mai aspirare ad esibirci in spazi enormi quali Palasport o stadi, ed è anche giusto così. Siamo avvantaggiati perché proponiamo musica già conosciuta verso la quale l’orecchio dell’ascoltatore è ben disposto e già avvezzo. Bisogna però saper sostenere il paragone con la band di riferimento…
Avete mai incontrato Mark Knopfler?
No mai. Sono andato due volte ai suoi concerti ma è pressoché inavvicinabile. Ha un’indole molto schiva e riservata, pensa che alcune volte finito di suonare ha la macchina pronta dietro il palco per andarsene subito via.
I vostri progetti futuri e propositi per il nuovo anno?
Abbiamo già diverse date fissate per il 2014, la prima delle quali sarà l’11 dicembre all’Afterlife.
Sicuramente il nostro proposito per il tempo a venire è crescere come band, come fedeltà, e come luoghi dove proporre la nostra musica. Oltre ai locali dove si va per stare insieme con un sottofondo di musica, vorremmo realizzare molte più date come quella di stasera, dove la gente viene solo ed esclusivamente per godere di ottima musica e metterci alla prova con un ascolto attento.
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