Jorge Volpi, cofondatore del Crack Movement(manifesto letterario nato in Messico negli anni’90) propone al lettore una trama che sembra essere stata costruita in bilico fra saggio socio-economico e romanzo noir. Mi piacerebbe iniziare proprio da questo punto la nostra chiacchierata con Jorge Volpi, chiedendogli da dove nasce questa idea.
Il rapporto fra padre e figlio è molto forte in questo romanzo. Da un lato abbiamo Noah (il padre) «una cassaforte che custodiva solo ideali e buoni sentimenti», che ha lavorato per il bene e la prosperità degli USA e alla fine è stato accusato di tradimento (la faccia buona del capitalismo alla Dexter White) e dall’altra Jorge (il figlio) che ha sfruttato per il proprio tornaconto personale ciò che il padre aveva custodito, senza curarsi dei danni che questo poteva causare al sistema. Jorge si giustifica dicendo che non era l’unico a sapere ciò che stava accadendo. Allora condividere la colpa vuol dire essere meno colpevoli?
Jorge Volpi
La figura di Jorge non è quella di una vittima della crisi, lui è un cattivo. È uno dei responsabili. La sfida è stata creare un cattivo simpatico. Jorge è un bugiardo che mente a tutti, dalla sua famiglia al mondo, con l’eccezione del lettore che sarà l’unico a conoscere la verità. Parte di questo cinismo è trovare continue giustificazioni alla sua opera. Dire che è diventato il capro espiatorio al posto dei politici e degli economisti che rimangono ricchi e potenti ai loro posti di comando, fa pensare al lettore che c’è qualcuno di ancora più cattivo di Jorge e questo fa avvicinare il lettore all’io narrante.Lei dipinge il sistema finanziario che ha portato alla grande crisi del XXI secolo come un organismo senza scrupoli che antepone le analisi statistiche alle moltitudini che ci sono dietro. Molte volte il capitalismo è stato disegnato in questo modo, penso per esempio al film di Oliver Stone Wall Street o al più recenteThe wolf of Wall Street di Martin Scorsese. Dagli anni ’80 a oggi non sembra essere cambiato molto, davvero l’avidità è l’unica variabile di questo sistema?
Ho letto il libro da cui è tratto il film di Scorsese e ho visto i film. Credo che l’ideologia neoconservatrice o neoliberale che dir si voglia continui a essere quella dominante, per questo ciò che è accaduto negli anni ’80 continua ad accadere anche oggi. Nel 2008 e nel 2009 i politici dicevano che il sistema economico mondiale andava pesantemente riformato, ma a sette anni di distanza non è cambiato molto, le riforme sono state timide e continuiamo a vivere senza aver imparato molto dal passato.
Memoriale dell’ingannoha continui riferimenti musicali, tanto che le varie parti del romanzo sono suddivise come se fossero atti di un’opera lirica, con overture, duetti (pensiamo al pianto dei due gemelli di Jorge, che lui stesso paragona a un duetto cantato) e cori. Perché tale parallelo fra opera lirica e narrazione e cosa rappresenta la musica per lei?
Questa è l’unica cosa che condivido con Jorge personaggio. Entrambi siamo fanatici dell’opera lirica. Io sono direttore di uno dei festival più importanti di musica teatro e danza dell’America Latina e sono anche diventato produttore di opere liriche. Ho scritto anche il libretto di un’opera. Per creare questo personaggio, mi sono anche ispirato alla figura di Alberto Vilar, finanziere americano di origine cubana che si è arricchito negli anni ‘80, grande appassionato di opera e finanziatore di rappresentazioni nei teatri più importanti del mondo, diventando amico dei più importanti musicisti dell’epoca. Nel 2007 e 2008 la polizia ha scoperto che finanziava le sue opere con i ricavi delle sue attività finanziarie illegali. Mi è sembrato molto interessante inserire queste caratteristiche nel “mio” Jorge.
Nel suo romanzo ci sono moltissimi riferimenti storici ed economici a eventi e personaggi che hanno contribuito a modificare le nostre vite attuali, nel bene e nel male. Quanto tempo ha impiegato a documentarsi per scrivere questo romanzo?
Molto tempo. Io non sapevo nulla del mondo finanziario. Quando nel 2008 ho iniziato a lavorare a questo romanzo, sono partito proprio dalla ricerca. È stato come fare una tesi di laurea sulla finanza internazionale. Il libro è uscito solo nel 2014, quindi dei sei anni necessari alla sua creazione, quattro almeno sono stati di ricerca. Mi ha aiutato anche vivere in Spagna durante la crisi economica europea, così come a Princeton, nella prestigiosa università americana dove ho insegnato per un anno, usufruendo della loro meravigliosa biblioteca.
Quanto dedica a questa fase preparatoria?Per questo libro ho dedicato due anni alla preparazione della struttura narrativa e dei rapporti fra i personaggi e gli eventi storici e sociali che gli corrono intorno.
Ho letto che a 13 anni ha deciso che sarebbe diventato uno storico medievalista. Sempre a quell’età ha iniziato a scrivere il suo primo testo, un ampio prologo alla storia del medio evo. La scrittura e la storia hanno quindi fatto parte della sua vita fin dall’inizio e possiamo dire che ha realizzato il suo sogno?
Sì, in parte. A 13 anni volevo diventare storico e interessarmi al Medioevo, ma questa è stata forse la mia prima finzione, perché la mia vera passione, la più profonda è sempre stata la scrittura. Certo, il mondo della storia è sempre presente nei mie romanzi, soprattutto nei romanzi tradotti in Italia.
Qual è stata l’influenza di Carlos Fuentes sul suo modo di scrivere ed è vero che decise che avrebbe fatto lo scrittore dopo aver letto Terra Nostra (opera ispirata ai Finnegans Wake di James Joyce, che cerca le radici della società latino americana attraverso 20 secoli di storia)?
Oltre a Fuentes quali sono i suoi riferimenti letterari? Nel libro cita Nabokov, ma c’è stato un libro da cui non si è staccato mai durante la creazione di questa storia?
I latino americani, a cominciare da Borges e Juan Rulfo. D’altronde ho fatto di Memorie dell’inganno un romanzo sulla ricerca della figura paterna, tema principale di Pedro Paramo di Rulfo, romanzo paradigmatico della letteratura messicana, ma penso anche a Thomas Mann e alla sua Montagna Incantatae al Doctor Faustus, due modelli della capacità di Mann di mescolare la grande storia alla piccola storia, dando vita a immensi romanzi che sono uno specchio della sua opera, una metafora del contesto sociale che lui viveva, conservando un’importante componente simbolica, cui sono particolarmente legato.
Nella realtà editoriale italiana spesso si chiede all’autore esordiente e non di creare una storia semplice, perché il lettore vuole e ha bisogno di storie semplici. È proprio così?
Questo accade in molte parti del mondo, non solo in Italia. Pensiamo che ci sia una crisi della lettura e per questo gli editori vogliono pubblicare solo libri “semplici”, che abbiano un successo garantito a breve termine. Credo però che in molti grandi romanzi la storia sembra essere semplice, ma è molto più complessa di quello che appare. Il problema è quello del mercato e di alcuni editori che sottostimano i lettori e credono che non siano capaci di leggere cose più complesse. È un errore, ma non diciamo che si legge poco. Siamo invece in un momento storico in cui si legge tanto, come dice Alessandro Baricco nel saggio I Barbari,rispetto a cinquant’anni fa i lettori sono molti di più, non sono più circoli di élite molto ristretti, adesso esiste una classe media che legge e molto. Il problema non è se esistano o meno i lettori, perché esistono, ma cosa sono abituati a leggere e sta proprio agli autori e poi agli editori che in essi credono ampliare questa aria di lettura.
In una sua intervista ha detto che un “romanzo è un modo per esplorare il mondo”. Ci sono delle regole in questa esplorazione? Non credo che esistano regole precise. C’è un’idea del romanzo da cui partire. Da quando ho cominciato a leggere, all’età dei sedici anni, i romanzi che ho amato di più sono quelli polifonici che cercano di mettere in discussione il mondo che pensiamo di vedere e conoscere, sono quelli che riescono a metterci in discussione e che ci fanno scorgere la complessità.
Grazie allora a Jorge Volpi per il suo tempo e per averci dimostrato con il suo Memoriale dell’inganno che la semplicità spesso nasce dalla complessità.
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