È stato presentato a Roma nei giorni scorsi Prossima fermata Fruitvale Station, opera prima scritta e diretta da Ryan Coogler e che vanta tra i produttori anche il nome di Forest Whitaker. Il film ha vinto importanti premi internazionali, tra cui il Gran Premio della Giuria al Sundance tra i film drammatici e il “Premio dell’Avvenire” al Festival di Cannes. Al centro del film di Coogler la vera storia Oscar Grant, ucciso a sangue freddo dalla polizia nella stazione di Fruitvale, a Oakland, la notte del 31 dicembre 2009. Una macchia che non mancò di suscitare un coro montante di indignazione non indifferente a livello sociale, e che da giovedì approda al cinema. All’incontro romano ha preso la parola il protagonista Michael B. Jordan, un attore in rampa di lancio che ha un carnet già affollatissimo nell’immediato futuro: tra gli altri ruoli, lo vedremo anche nei panni della Torcia Umana nel reboot de I fantastici Quattro.
Hai avuto modo di entrare in contatto con la famiglia di Oscar, i suoi amici, coloro che l’hanno conosciuto?
Oscar non era certo un tipo noto di cui potevo cercare notizie o foto su internet. E’ stato grazie ai familiari che ho avuto modo di conoscerlo davvero, di farmi un quadro che mi potesse permettere di entrare nella parte. Sono entrato in contatto con la madre, con la figlia, con la fidanzata di Oscar e anche con i suoi amici. Intendevo rendergli giustizia nel modo migliore e sentivo addosso un forte senso di responsabilità. Era mia intenzione portarlo sullo schermo fedelmente, in tutti i ruoli di una vita che ha vissuto come padre, figlio, marito. Sono uscito da quei colloqui con tanti volti di Oscar.
Com’è stato girare questo film? Che tipo di lavoro c’è stato sul set?
Penso che a questo proposito potrei darvi qualche dato. Il budget del film è di 900.000 dollari, ed è stato girato con una singola macchina da presa in soli venti giorni. Intendevamo raccontare Oscar in un giorno che fosse per lui assolutamente speciale, non solo perché era l’ultimo dell’anno (oltre che il suo ultimo giorno di vita), ma anche perché si trattava del compleanno di sua madre. Ognuno può avere la sua percezione su di lui, ma credo che la notte della sua morte sia in grado di rivelare agli occhi dello spettatore chi fosse veramente.
E chi è Oscar?
Ponendoci nella posizione di spettatori, diciamo che si tratta di un ragazzo a cui piace giocare con la figlia, che salva i cani dall’essere investiti, che sorride sempre a chi si trova davanti. Tenta di rifarsi una vita, di ricostruirsi un’integrità dopo essere stato posto ai margini della società dai problemi che ha avuto con la giustizia.
Com’è stato lavorare con Ryan Coogler?
Ryan è uno sceneggiatore davvero ottimo. Se ne poteva fare un biopic classico, invece del personaggio ha voluto ripercorrere solo le ultime ventiquattr’ore di vita. Ryan poi abita proprio a Bay Arena, dove i fatti hanno avuto luogo, il che mi ha reso di sicuro la vita molto più facile quando si è trattato di dover preparare il mio personaggio. Il nostro è un film piccolo, ma che anche per il suo forte impatto territoriale ha avuto una cassa di risonanza particolare, di sicuro non da poco.
Com’è stato l’approccio con la figlia di Oscar?
Si tratta di un argomento abbastanza delicato, e non ha ancora visto il film. Siamo stati insieme trascorrendo del tempo, però io non le ho detto che avrei interpretato suo padre al cinema. Non volevo essere invasivo in alcun modo né spingermi troppo in là. Si tratta di situazioni non proprio facili, quando muore una persona molto cara è così. Alla fine della pellicola si vede una sua immagine, ma è ancora molto piccola e si troverà ad affrontare una vita senza suo padre.
Qual è il tuo percorso come attore, come ti sei formato e come sei arrivato alla recitazione?
Recito in Tv da quando ero un dodicenne. Mi succede di passare da un ruolo a un altro, e anche di morire spesso nei film; ho appena finito di girare una commedia con Zac Efron e mi piacerebbe tentare di non cadere nello stereotipo risaputo del giovane attore afroamericano. Calarmi nei panni di Oscar non è stato semplice, come ho detto sentivo sulla mia pelle il peso di una certa responsabilità. Però in futuro interpreterò la Torcia Umana, che è una parte decisamente più divertente!
C’è una sintonia innegabile tra il messaggio del tuo film e quello di 12 anni schiavo.
12 anni schiavo è un grandissimo film e il paragone ci gratifica. Sul set è difficile capire quale sarà l’impatto sul pubblico. Quando successe il fatto increscioso, mi identificai molto in Oscar e credo che ognuno potesse farlo. Mi sono sentito frustrato, arrabbiato… potevo essere io, quell’uomo. Il regista è riuscito nel compito non facile di trovare il tono giusto per portare sul grande schermo un evento che presenta tratti così tragici e difficili da trasporre. La forza del cinema, la sua potenza, sta nel fatto che ci consente di pensare alle storie, di elaborarle…
Qual è la ricezione del pubblico americano rispetto a film quali 12 anni schiavo, Django unchained, Lincoln, che hanno in comune il tema della schiavitù, ma anche in rapporto a The butler e Fruitvale Station?
Da esponente della comunità afroamericana, mi sento di poter dire che il film ha una cassa di risonanza diversa negli States, se rapportata a quella degli altri paesi. Però con Oscar si empatizza facilmente, è un personaggio dalla vita difficile, drammaticamente ordinaria e tragica. Django unchained è un omaggio allo spaghetti western che esagera i tratti della raffigurazione di quell’epoca, mentre The butler è ispirato a una storia vera. A prescindere da come lo si racconti, però, quello della discriminazione razziale è un tema che credo riguardi tutti quanti da vicino.
Qual è stata l’opinione di Oprah Winfrey sul film?
Ha visto il film, lo ha trovato bellissimo e mi ha invitato in trasmissione a parlarne. Lei è un personaggio straordinario. E poi ha recitato in The butler, per cui le occasioni per vederci e conoscerci un po’ meglio non sono certo mancate.