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Che libro che è Morte dei Marmi di Fabio Genovesi (Contromano di Laterza), feroce, irriverente, sulfureo fin dal titolo, che dice già molto. Libro che vale per tutti coloro che almeno una volta nella vita si sono fatti vedere a Forte dei Marmi, libro che vale comunque - anche se sei un marziano che in Versilia non è mai sbarcato - perchè quello che si racconta è uno tsunami prodotto dal denaro, o se preferite una mutazione antropologica, ai tempi in cui tutto è kitsch e tra negozi di griffe e finte colonne doriche si è perso il senso di un territorio e della sua storia.
Alcune (pochissime) delle cose che ho scritto qui - assicura Genovesi in epigrafe - me lo sono inventate, ma sono le più verosimili.
E non faccio fatica a credergli, io che della Versilia ho il ricordo che mi porto dietro da ragazzino, quando la Versilia era le biglie sulla spiaggia, la passeggiata con il gelato al pistacchio, il venditore di cocco e il bagnino dalla parlata ruvida. La Versilia che poteva essere anche una compagnia di anziani che giocava a carte. Prima che arrivassero i russi - altro che le famigliole da Firenze con le valigie legate sul tetto della macchina - e con loro cambiasse tutto.
Semmai è dura credere che in un posto come Forte dei Marmi ci si possa nascere e vivere - tutto l'anno, mica solo per i due mesi d'estate. Che ci si possa andare a scuola e fare amicizie per uscire perfino a gennaio, quando il più è sprangato.
E invece sì, e anche questa è la bellezza del libro: che a dispetto dei giudizi più perfidi, dei toni più taglienti, delle verità più scomode, è prima di tutto uno straordinario atto di amore per il posto in cui una persona vuole continuare a vivere. Malgrado tutto.
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