Mi sono lasciata sfuggire l’ultimo di Camilleri.
Perché, qualunque cosa si possa dire dell’autore, continua imperterrito a sfornare libri che, se non son più belli come una volta, reggono il confronto con molte altre schifezze. Al di là del fatto che, questo suo ultimo, in realtà proprio ultimo non è, visto che pare sia stato scritto anni fa (Montalbano, infatti, qui compie “solo” cinquant’anni). Il perché sia stato pubblicato soltanto adesso potrebbe forse essere dovuto al fatto che, in questo romanzo, Montalbano è tutto men che accomodante, tutto meno che politically correct e via così. Forse che, fino a qualche anno fa, persino la benemerita Sellerio preferiva non ravanare nelle pieghe dell’italico disastro e della brodaglia del volemose bene, non c’è più destra non c’è più sinistra, mettiamo dentro i ladri di polli e lasciamo fuori i razziatori di vite e capitali?
Comunque, non di questo volevo parlare, ma del fatto che me lo ero lasciato sfuggire, questo nuovo Montalbano. Per dire come sono disattenta in questi giorni.
Così, ho deciso di acquistarlo, e, felicemente consapevole delle potenzialità del mio famoso e bellissimo e ormai amato Chìndol, mi accingevo a stringere nelle mie braccia Montalbano (per lo meno nella versione virtuale, chi si accontenta gode) dopo pochi secondi dal fresco neonato desiderio.
Ed ho scoperto cosa che ormai avrei dovuto dare per assodata: gli editori italiani, impauriti dalle sirene del virtuale che sussurrano catastrofi e morti certe al libro di carta, preferiscono non rischiare, e vendono un prodotto privo di materie prime, stoccaggio, distribuzione e compagnia bella, a un prezzo pressoché simile al prodotto di carta. Mi vogliono cioè convincere, in questo caso, che carta, inchiostraggio, taglio, rilegatura, distribuzione, intermediari e via dicendo, una volta spariti, valgono la bellezza di due euro su 12?
Mò andè a caghèèer, va’…
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