Restaurata digitalmente, a disposizione dei cultori della filmografia di Umberto Lenzi e di quei pochi (issimi) che non hanno fatto ancora incursione nel b-movie italiano, Incubo sulla città contaminata (1980) è una pellicola nostalgica. Nostalgia soprattutto di un periodo storico del fare cinema (a partire dagli anni ’60) in Italia, che permetteva di realizzare con pochi spiccioli e mezzi tecnici, un parallelo sottobosco di generi, esplorati e sviscerati con la libertà di osare, sperimentare.
Umberto Lenzi si colloca quale caposaldo di tale filosofia e pratica cinematografica, con la sua versatilità tematica e la capacità di assorbire le caratteristiche delle differenti tendenze con cui è entrato in contatto. Cinefilo per formazione (laureatosi al Centro Sperimentale di Cinematografia), esordisce nel 1961 con un film di kappa e spada, Le avventure di Mary Read, dedicandosi successivamente alla rilettura dei classici salgariani, e cimentandosi a fine anni ’60 nel genere ‘jamesbondiano’, aggrappandosi all’onda del successo della serie 007, con ben 4 film di spionaggio. La sua specificità è, però, unita indissolubilmente al giallo erotico italiano, definito da lui stesso ‘thriller dei quartieri alti’, con la trilogia: Orgasmo (1969), Così dolce… così perversa (1969) e Paranoia (1970) e al polizziottesco, anche in questo caso sulla scia della popolarità del genere all’inizio degli anni ’70. È questo il terreno più congeniale per Lenzi, che in una decina d’anni realizza le sue pellicole più apprezzate: Milano odia: la polizia non può sparare (1974), Roma a mano armata (1976), Napoli violenta (1976), grazie anche al sodalizio artistico con Tomas Milian, attore-feticcio che, grazie al regista, acquisisce notorietà nel circuito italiano.
Naturalmente l’esplorazione di Lenzi non si arresta. Gli anni ’80 lo vedono seguire le orme di Lucio Fulci e Dario Argento, impattando con il genere horror e dando vita alla sua prima creatura filmica di tale stampo proprio con Incubo sulla città contaminata, una pellicola ‘rivalutata’ anche e specie nell’attenzione riservatagli da Quentin Tarantino, che attribuisce un ruolo speciale nella sua formazione proprio a questa pellicola di Umberto Lenzi. Oltre Tarantino, Robert Rodriguez gli ha reso omaggio con Planet Terror, episodio di Grindhouse (2007) ispirato al film di Lenzi. Incubo sulla città contaminata ha, prima e dopo, subito l’influenza del maestro per eccellenza dello zombie-movie George Romero. E Lenzi la assorbe riadattandone e variandone la filosofia. In una Londra dalle atmosfere alienanti ed universali (i personaggi, per lo più attori italiani, recitano nella nostra lingua, contribuendo ad aumentare l’effetto di spaesamento temporale e spaziale), si consuma l’invasione e la distruzione della normalità ad opera di esseri umani contaminati da una fuga radioattiva di una centrale atomica. Arrivano dal nulla (come l’inevitabile che il caso getta nello scorrere apparentemente tranquillo dell’esistenza), con un aeroplano che dovrebbe portare in città uno scienziato per una conferenza sugli esperimenti in atto. Da questo aereo, atterrato senza alcuna comunicazione alla torre di controllo, si proiettano all’esterno, insieme allo scienziato sconvolto – già ‘non umano’ nella consapevolezza - esseri deformati, con asce e pugnali, che ferocemente uccidono e si attaccano al sangue della polizia e del personale di sicurezza, giunto ad accerchiare il veivolo sospetto. Dean Miller (Hugo Stiglitz), giornalista incaricato di realizzare un’intervista, assiste incredulo col suo operatore a ciò che sta avvenendo, e scappa per allertare la popolazione. Da questo momento nulla sarà come prima: Dean, opponendosi invano al silenzio dei media e appellandosi alla libertà di informare la popolazione su ciò che l’aspetta, ci guiderà, fuggendo dai mostri insieme a sua moglie, nella distruzione che la specie contaminata genera poco a poco rendendo i luoghi senza vita, e incrementando i distruttori tra coloro a loro volta uccisi e trasformati in ‘altro dall’uomo’. Tra pseudo zombie, ossia non morti, ma contaminati, che per la prima volta corrono e sviscerano aggressività feroce, Lenzi realizza una messa in scena che anticipa per i temi trattati, l’attualità di alcune questioni contemporanee: il rapporto tra uomo e tecnologia, la volontà di potenza dell’umanità, essa stessa generatrice dei mezzi capaci di annientarla, il ruolo dei media nel condizionare e veicolare la realtà nei confronti della collettività. Tutto è estremamente ingenuo: dalla caratterizzazione dei personaggi, allo stesso andamento della trama, che tralascia passaggi essenziali sia nel perché che nel come di tutto ciò a cui assistiamo.
Eppure l’atmosfera action-splatter e l’archeologia dei mezzi tecnico-scenografici impiegati, compreso un make-up dei mostri al limite dell’incollaggio posticcio, genera un’inconscia attrazione, specie per le sfaccettature erotico-macabre che fuoriescono naturalmente: lo sguardo carico di voglia misto alla certezza del possesso su una debole infermiera dell’ospedale da parte di uno dei mostri, l’accanirsi sui seni che vengono addirittura tagliati oltre che infilzati, l’occhio (sempre di una donna) letteralmente staccato, e il sangue che gronda e schizza dappertutto. Nell’incedere senza inibizioni, quando emergono, avvertiamo gli echi di una libertà e di una ‘purezza’ creativo-espressiva che oggi il cinema italiano fa purtroppo fatica a ritrovare.
Maria Cera