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Indagine sull’assegnazione delle frequenze tv in Lazio (Il Tempo)
Creato il 21 dicembre 2013 da Nicoladki @NicolaRaianoA sporgere denuncia, lo scorso giugno, è stato Marcello Tulli, legale rappresentante di Telestudio srl, un'emittente televisiva che da circa 40 anni trasmette in gran parte dell'Italia centro-meridionale. «Il motivo che mi ha spinto a presentare questo atto - spiega Tulli - nasce dalle ingiuste e nefaste conseguenze che la vicenda ha provocato alla mia famiglia e a tutti i lavoratori che hanno collaborato con me e che ora non hanno più nulla». Le frequenze assegnate sono 17 e Telestudio, essendosi collocata al 22esimo posto della graduatoria, non può più mandare in onda le proprie trasmissioni e ha dovuto mettere in cassa integrazione tutto il personale (16 dipendenti, senza considerare i 200 collaboratori dell'indotto).
L'accusa nei confronti del ministero è pesante: «La gara si è trasformata in una trappola. I requisiti previsti dal bando, e prima ancora dalla legge, sono stati completamente falsati e distorti. Tutto è avvenuto nel più grande segreto al fine di premiare emittenti che non solo non esistono se non sulla carta, ma che sono state improvvisamente riunificate in 3, 4 o 5, moltiplicandone gli assets per farle vincere». Sulla base dell'articolo 4 del decreto legge n.34 del 2011 è stato infatti disposto il riordino del settore radiotelevisivo digitale, delegando al ministero dello Sviluppo economico l'assegnazione delle frequenze. Gli indici di valutazione previsti nel bando erano: l'entità del patrimonio al netto delle perdite, il numero dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato, l'ampiezza della copertura della popolazione e la priorità di svolgimento dell'attività nell'area. Per i primi due parametri a Telestudio è stato assegnato punteggio zero, pur avendo un patrimonio netto pari a 155 mila euro e la forza lavoro a tempo indeterminato più numerosa tra le società partecipanti.
«Tutta la procedura di gara e la selezione dei concorrenti risulta caratterizzata da gravi anomalie e palesi ingiustizie - si legge nella denuncia - L'apertura delle buste è avvenuta in seduta segreta. Gli stessi concorrenti hanno presentato più offerte. Il bando di gara è stato modificato e nessuna comunicazione è stata data ai partecipanti. Non si conoscono i componenti della commissione esaminatrice e non esistono verbali delle operazioni di gara. Per giunta, le tv concorrenti hanno presentato domande singole, poi accorpate dai funzionari per consentire la vittoria di queste improvvisate "concentrazioni" di emittenti create a tavolino». L'8 maggio Jean Paul de Jorio, uno dei legali del pool che assiste Telestudio (insieme al professor Filippo de Jorio, agli avvocati Filippo Longo e Alessandro Romiti), si è recato presso il ministero e la dirigente responsabile della gara gli avrebbe riferito che «la graduatoria era frutto non della valutazione di un'apposita commissione, ma dell'accorpamento delle domande presentate singolarmente dalle varie emittenti». Secondo l'avvocatura dello Stato tutta la procedura sarebbe stata affidata a un computer, senza l'intervento di mano umana. «Con il risultato - si legge nella denuncia - che Telestudio, pur essendo la più antica, più grande e più nota emittente nella regione Lazio, è stata estromessa a vantaggio di altre che, riunite insieme, sono state giudicate migliori».
Come esempio viene riportato il caso di Canale 7, posizionatasi prima in graduatoria, pur avendo un unico dipendente (per giunta part-time), soltanto 3 ripetitori in tutta la regione (di cui 2 nella stessa località a Monte Pilucco, vicino Terracina), una copertura della popolazione dello 0,8% e un patrimonio che la stessa società dichiara essere pari a zero. Nel consorzio, nato addirittura dopo la presentazione delle offerte, insieme a Canale 7 ci sono altre due emittenti: Televita, priva di patrimonio e dipendenti, e Telecapri, che disponeva di una copertura dello 0,7% della regione. «È stato annullato il confronto concorrenziale tra i partecipanti - si legge nella denuncia - privilegiando la costituzione di consorzi che hanno distorto la par condicio e alterato la segretezza delle offerte. Le Ati sono quasi sempre composte dalle stesse emittenti. Tvsl48, ad esempio, concorrendo alla gara singolarmente e in 4 consorzi, si è vista assegnare 3 frequenze». Poi ci sono i casi di emittenti che non avrebbero proprio potuto partecipare alla gara perché trasmettono solo in Campania, come nel caso di Televomero, o perché hanno una copertura del territorio regionale pari a zero, come per Teleromadue. Eppure entrambe sono arrivate terze in graduatoria.
Il ministero dello Sviluppo economico avrebbe poi negato ai legali di Telestudio il rilascio delle copie delle domande di partecipazione delle altre emittenti, con la «scusa» della privacy. È stata necessaria una sentenza del Tar del Lazio, emessa dalla prima sezione il 16 settembre scorso, per ottenere l'autorizzazione a prendere visione dei documenti. In quell'occasione il ministero ha dichiarato che non esistono, perché mai redatti, verbali sull'apertura e la conservazione dei plichi, né sulle sedute in cui si è svolta la valutazione delle offerte. «Circostanza questa piuttosto strana nelle gare ad evidenza pubblica - spiega una nota integrativa depositata dall'avvocato Filippo de Jorio - che dimostra la sussistenza di gravi anomalie, nonché di percorsi preferenziali e punitivi».
C'è un precedente in questa vicenda, risale a 20 anni fa. A seguito di un'altra denuncia di Telestudio all'autorità giudiziaria per motivi analoghi, il 31 maggio 1993 la Procura di Roma eseguì il sequestro di tutti gli atti del ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni concernenti l'emittenza televisiva. Il 2 marzo 1994 venne poi concesso a Telestudio l'esercizio della radiodiffusione. A firmare il decreto fu la stessa dirigente responsabile della gara indetta il 5 settembre 2012. «Appare evidente non solo come il comportamento del ministero sia risalente nel tempo - conclude il professor de Jorio - ma anche come i soggetti gestori delle assegnazioni delle frequenze siano praticamente gli stessi da molti anni».
Valerio Di Corradoper "Il Tempo"
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