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India e APEC, fulcro di un’attrazione reciproca

Creato il 04 ottobre 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
India e APEC, fulcro di un’attrazione reciproca

La politica indiana del “Guardare ad Est” (Look East Policy) e gli sforzi della stessa India d‘integrarsi economicamente con il sud-est asiatico, l’hanno resa il candidato ideale per divenire un nuovo membro dell’APEC.

 
Pranab Mukherjee è visto come uno dei politici indiani più autorevoli ed esperti. Evidentemente la sua elezione a Presidente indiano apporterà alla politica estera indiana due qualità che le sono chiaramente mancate negli ultimi 5-7 anni: logica e coerenza. Anzitutto, una vastissima entità come l’India promuoverà il rafforzamento delle strutture economiche esistenti nella regione più economicamente dinamica a livello mondiale. Inoltre, controbilancerà i tentativi di scardinare i principi fondamentali delle relazioni internazionali, non ultimo tra questi, l’unità e l’integrità territoriale degli Stati e delle società. Secondariamente, divenendo parte dell’APEC, faciliterà la risoluzione di problemi d’importanza strategica, quali il rafforzamento dei legami economici orizzontali nell’Asia sud-occidentale e l’arricchimento contenutistico dell’economia estera degli attori regionali. L’esperienza indiana di trarre il meglio al di fuori delle logiche di “piano” e di “mercato” potrebbe rivelarsi dal valore inestimabile nel contesto di regole imposte dallo stallo economico globale. Terzo, l’India ha già sostanzialmente intrapreso i suoi passi in questa direzione. Ha svolto un solido lavoro preliminare sotto forma della Look East Policy iniziata nel 1997. La “Dottrina Gujral” (Gujral Doctrine) è divenuta uno strumento efficace teso al rafforzamento dei legami diplomatici con i Paesi del sud-est asiatico. Anche le relazioni economiche con questi Paesi hanno subito un’evoluzione qualitativa. A oggi la regione è il più esteso mercato di sbocco per i beni indiani interessando più della metà delle sue esportazioni (all’inizio del Secolo ammontavano solo al 40%). E queste relazioni economiche hanno altresì solide fondamenta politiche: l’India ha sottoscritto accordi con importanti membri dell’APEC, quali Giappone, Corea del Sud, Singapore, Tailandia, Indonesia e Malesia.

Sullo sfondo del recente summit APEC è bene ricordare la lunga storia dell’interesse indiano per la regione asiatica pacifica. Le élites indiane al potere credono che la ciclicità dei processi a livello mondiale sia la principale forza trainante e propulsatrice delle dinamiche delle relazioni internazionali, nello spirito delle tradizioni stabilite dal Primo Ministro indiano Jawaharlal Nehru. Se il XIX secolo fu a dominanza britannica, il XX a predominanza statunitense, allora, il XXI sembra potenzialmente il “secolo asiatico”. Naturalmente sarà necessario un adattamento della strategia di politica estera, che dovrà sincronizzarsi al mutevole contesto globale. Quest’adattamento è divenuto il naturale seguito delle riforme economiche indiane del 1991. Tornando alla metà degli anni ’90, la “Dottrina Gujral” o la Look East Policy hanno di fatto concretizzato una sublime espressione politica che è implementata sino ai giorni nostri. L’élite indiana surclassò molte delle sue controparti straniere per cavalcare l’ondata di cambiamenti dell’economia mondiale e della politica internazionale. Poté trarre vantaggio dalla traslazione delle dinamiche verso l’Asia pacifica per emergere come nuovo perno dello sviluppo mondiale. Delhi sembra comprendere che l’accresciuta influenza economica, la potenza militare e la capacità geopolitica cinese diverranno il trend dominante del “secolo asiatico”. La politica estera indiana nell’Asia Pacifica è per ultimo plasmata dalle relazioni tra la stessa India, la più vasta democrazia al mondo, e attori quali Cina, Stati Uniti e i più influenti Stati del sud-est asiatico e dell’ Estremo Oriente, Russia inclusa, naturalmente.

Qual è, di fatto, la percezione dell’élite politica indiana dell’anima e delle motivazioni insite nella politica cinese nell’Asia Pacifica? Secondo gli esperti indiani, i leaders cinesi hanno compreso che il Celeste Impero avrà bisogno di dozzine di anni per acquisire lo stesso status geo-economico e geopolitico americano e per questo motivo sono attivi sostenitori del concetto di “multipolarità autentica” (genuine multipolarity). Allo stesso tempo, però, gli esperti indiani presumono che il fine principale di Pechino nell’Asia Pacifica sia quello di guadagnarsi lo status di unica centralità in tutta l’Asia. E la posizione che l’India si sta aggiudicando nell’area è, pertanto, solo secondaria. Ma questa visione è francamente troppo semplicistica.

Modestamente, credo che queste constatazioni sulle capacità indiane nell’Asia Pacifica siano basate su un’analisi datata vent’anni. Pensandoci, quest’analisi non è supportata dall’esperienza di successo delle riforme economiche indiane che hanno notevolmente sviluppato le risorse geo-economiche e geopolitiche del Paese. In primis, la ricerca di un nuovo paradigma di politica estera (Look East Policy) da parte delle classi politiche al potere; il riconoscimento, ottenuto di fatto, di uno status nucleare da parte della comunità internazionale; e i positivi mutamenti nelle relazioni con gli altri due centri gravitazionali – gli Stati Uniti e il Giappone. Questo è il motivo per cui i leaders indiani, incluso il Primo Ministro Dr. Manmohan Singh, enfatizzano l’idea di cooperazione tra l’”Elefante” e il “Dragone”. Ritengono, infatti, che i due largest States abbiano abbastanza margine di manovra per attuare le loro strategie nazionali di sviluppo in un ambiente di sana concorrenza , piuttosto che di rivalità.

Gli esperti fanno notare che i confini tra antagonismo e sana concorrenza sono elastici così come sono labili i confini indiani con Stati minacciosi per la stessa sicurezza nazionale indiana (Pakistan, Bangladesh, per non menzionare il Celeste Impero). Non dimentichiamo le trascorse dispute territoriali per lo Stato indiano di Arunachal Pradesh, ancora chiamato a Pechino “Tibet orientale”. Inoltre, gli studiosi indiani guardano con attenzione al progresso economico del Tibet, definendo la politica del potere centrale cinese una “strategia dai doppi fini”.

Ranjit Gupta dell’Istituto per gli Studi e l’Analisi sulla Difesa di Nuova Delhi, ad esempio, scrive: “Dato il serio problema territoriale tra Cina ed India, lo sviluppo di innovative infrastrutture ferroviarie, stradali e dell’aviazione civile sull’impervio, e così scarsamente popolato, suolo tibetano; una politica d’incremento progressivo della popolazione cinese Han in Tibet; e il dispiegamento di risorse militari convenzionali e strategiche, non possono che essere fonte di maggiore preoccupazione. Questa visione è rafforzata dalla fitta rete di rapporti economici militari e politici tessuti dalla Cina con gli Stati vicini all’India, in particolare con il Bangladesh, il Myanmar e il Pakistan”. L’India ha effettivamente fallito nel mutare, a suo favore, la politica estera del Bangladesh caratterizzata da una crescente dipendenza da Pechino. E’ proprio lì che la cooperazione tra i tre Stati, sostenuta dalla probabile membership APEC, potrebbe apportare risvolti positivi. O, forse, non si tratta dell’espansione del Celeste Impero nell’Asia Pacifica, ma piuttosto del fatto che una parte della classe dirigente indiana semplicemente dipenda dagli Stati Uniti, che vivacemente impongono su Nuova Delhi la loro visione del mondo così come le loro paure e i loro complessi?

Il percorso indiano verso l’Asia Pacifica passa attraverso l’Asia sud-orientale, partendo precisamente dal Myanmar (Birmania). E l’importanza di questo Paese, per la più vasta democrazia al mondo, è determinata da quattro fattori principali: (i) Proprio dal Myanmar dipendono la sicurezza, la stabilità politica e il progresso socio-economico della Regione nord-orientale indiana; (ii) Questo speciale rapporto può bilanciare l’equilibrio non solo nel Golfo del Bengala, ma anche nell’Oceano Indiano orientale; (iii) Il Myanmar è l’unico ponte geografico tra l’India e il gruppo economico di Stati costituenti l’ASEAN (Association of South-East Asian Nations), spina dorsale della Look East Policy di Delhi; (iv) C’è una naturale necessità di diversificare le fonti della sicurezza energetica. Ciò fa del Myanmar una potenzialmente rilevante fonte d’idrocarburi (petrolio e gas) di cui è così bisognosa l’economia indiana.

Sette Stati nord-orientali indiani sono separati dalla stessa penisola indiana dal Bhutan, dal Bangladesh, dalla Regione autonoma cinese del Tibet e dal Myanmar. In ragione di questa complessa configurazione territoriale, il Myanmar gode di una posizione d’importanza critica che ben spiega la politica di Delhi verso questo Paese. Così lo sviluppo, al pari della sicurezza, di questi sette Stati indiani dipendono dal legame costante con il continente per prevenire l’insorgere di una percezione d’isolamento territoriale. Una recente affermazione del Ministro indiano per lo sviluppo della Regione del nord-est, M. Shankar Ayyar, è la seguente: “L’Asia orientale comincia con l’India nord-orientale”. Queste parole hanno solide fondamenta storiche. La Seconda Guerra Mondiale e la divisione dell’India nel 1947 hanno infranto i tradizionali legami culturali etnici ed economici tra l’India e l’Asia sud-orientale.

Uno dei più importanti mandati è quello di porre fine alle rivolte nel nord-est. Esperti sostengono che i ribelli operino dal territorio del Bangladesh, tesi che nuovamente avvalora il peso del Myanmar tra le priorità indiane di politica estera nell’Asia sud-orientale. Inoltre, le relazioni con il Myanmar sono di strategica rilevanza per la sicurezza e i bisogni vitali delle Isole Andamane e Nicobare, situate nella parte orientale del Golfo del Bengala. Per ultimo, la nuova Look East Policy si basa sul presupposto che il Myanmar sia la porta di ingresso per la Tailandia e il Laos, la via più breve per l’Asia sud-orientale.

Gli interessi strategici indiani e il nucleo duro dell’economia dell’Asia sud-orientale – l’ASEAN – in larga misura coincidono se si guarda alla faziosa politica birmana. E questi interessi dipendono dalle seguenti motivazioni: (i) L’abbattimento della dipendenza birmana dalla Cina, dipendenza ormai critica secondo alcuni; (ii) Il principio di non interferenza negli affari interni di altri Stati, da mantenersi alla base delle relazioni internazionali; (iii) Ultimo, ma non meno importante, il Myanmar vanta una privilegiata posizione geostrategica oltre ad essere ricco in risorse naturali, inclusi gli idrocarburi.

Come chairman di un’organizzazione autorevole, la Russia, nel sostenere la membership indiana, dovrebbe tener bene in considerazione gli interessi della stessa élite indiana e la logica del suo comportamento sulla scena internazionale. Si asseconderà così un processo di security-building nell’Asia Pacifica verso la concretizzazione dell’idea di un mondo multipolare.

(Traduzione dall’inglese di Barbara Borra)


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