La ‘poverina corre. Corre moltissimo. Perché la vita va veloce. Perché non è sempre semplice. Perché i piùcheretti sono tornati alla grandissima, a fucilarle di minchiate i pomeriggi. Perché novembre è un mese tosto, specie se hai tante classi, e vuoi arrivare con un numero di voti sufficienti (tipo: 3 + 5 a testa) ai pagellini. In più, si aggiunge Inquieta (che ha cambiato scuola) che le chiede di vedersi, per passare un pomeriggio di adolescenziali aggiornamenti; e la Scurza e l’Amica Vicina, con cui si era fissato un aperitivo già da tempo. E la collega di Snape di passaggio (in stazione, al volo, per un’ora di chiacchiere) dalla piccola città.
Per tutti questi motivi, e ancora altri, la ‘povna aveva pensato di non riuscire a onorare il suo librario appuntamento. Ma poi, per fortuna, ci pensa ancora un’altra amica, a ricordarle che, ancora per qualche manciata di minuti, è venerdì.
E così la ‘povna, grazie all’affettuosa insistenza di Pensierini (che ringrazia molto) riesce a postare, in extremis, il suo contributo per il venerdì del libro.
Per i macinatori di science-fiction Finney resta un classico. Già autore degli ultracorpi (e scusate se è poco), in questo romanzo del 1970 (a un anno dall’allunaggio, che in queste pagine viene doverosamente evocato) compone un’ucronia che si snoda secondo i più consolidati canoni del ‘a spasso nel tempo’. Attraverso una serie di pratiche che condiscono l’idea del privilegio (solo i soggetti portati riescono a superare la barriera cronologica) e delle condizioni spazio-temporali adatte (ci sono dei luoghi che persistono inalterati da un’epoca all’altra nei quali è più facile approfittare dell’effetto ponte) con un po’ di blando Einstein, Simon Morley viene scelto per un esperimento del Governo rivoluzionario e segretissimo, e si ritrova nella New York del 1882. Il periodo non è casuale, ma scelto da Morley appositamente per poter far luce su un episodio oscuro della storia di famiglia della sua ragazza, e – attraverso avventure, che comportano una serie distinta, e sempre più approfondita di viaggi – Simon si troverà, entusiasta, sempre più assorbito da un passato che considera più vivido, onesto, giusto del mondo in cui vive. Non mancano sprazzi di suspence e inseguimenti, un pizzico di mistero che si colora di poliziesco, l’inevitabile storia d’amore. Dal punto di vista della riflessione scientifica, quella che nel romanzo viene definita come “teoria della pagliuzza nel grande fiume del tempo” viene opposta al classico modello (introdotto in un racconto per la prima volta nel 1952 da Ray Bradbury) dell’”effetto farfalla”, anticipato nel 1950 dalle parole di Alan Turing: “Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza”. In poche parole – e diversamente da quanto solitamente proposto alla riflessione nelle ucronie classiche – per i lunghi tre quarti del romanzo gli scienziati ideatori del progetto veicolano un’idea secondo la quale l’uomo è come una pagliuzza in mezzo alla grande corrente del tempo: “è possibile che anche una pagliuzza possa produrre un effetto [...]. La possibilità di un cambiamento, il pericolo, esiste. Ma è infinitesimale. Virtualmente possiamo essere sicuri al 100% che una pagliuzza caduta in quella gigantesca corrente [...] non influisca affatto sul suo corso”. L’intreccio del romanzo (nonostante un’eccezione non spiegata che pone il gruppo di scienziati per la prima volta di fronte all’etica delle loro scelte) sembra confermare questo punto di vista, perché le sempre più ardite evoluzioni di Simon nel 1882 non riportano, almeno in apparenza, alcuna conseguenza nella New York del 1970. Ma la smania di ‘giocare a dio’ si fa largo, tra gli uomini al controllo del progetto, sempre più potente; e spinge infine il protagonista ad accettare un ultimo viaggio, che termina con una decisione definitiva.
Come sempre politica (come tutta la science-fiction), la storia narrata da Finney costituisce anche l’occasione di riflettere sul suo tempo presente. Nonostante qualche superficialità di fondo, la scelta di non fermarsi troppo approfonditamente sulle teorie scientifiche del viaggio ucronico paga – sfornando un romanzo di intrattenimento colto e consapevolezza dei modelli (tra gli altri: Jules Verne citato esplicitamente come intelligente visionario dagli abitanti di fine Ottocento). Infine, una ricca collezione di immagini (commentate dall’io narrante) si aggiunge all’archietettura del romanzo, completandola. Il libro si rivela così anche una sorta di guida turistica per la New York di fine Ottocento, le cui tracce sono ancora visibili e ancora tutte da scoprire, seguendo le dettagliatissime passeggiate di Simon, nell’epoca attuale.