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Indignati e prepotenti, ma consapevoli: resistere per ri-esistere

Creato il 15 ottobre 2011 da Alessandro @AleTrasforini

In una celeberrima canzone Tracy Chapman descrisse situazioni che, ciclicamente, stanno tornando a riproporsi sulle scene del mondo:  "[...] Stanno parlando di una Rivoluzione /Sembra un sussurro [...]/ Stanno parlando di una Rivoluzione/ Sembra un sussurro/ Mentre fanno la coda per il sussidio/ Piangendo alla porta degli eserciti della salvezza/ Sprecando tempo agli uffici di collocamento/ Aspettando una promozione/ La povera gente si ribellerà/ E si prenderà la sua parte/ La povera gente si ribellerà/ E si prenderà ciò che le appartiene [...]" Dietro ad un sussurro, per fortuna, qualcosa si sta muovendo.  Sembra un sentimento nuovo, ancora indefinito, che oscilla tra termini quali rivolta rivoluzione.  Tra corsi e ricorsi storici, forse, l'umanità intera avrebbe dovuto trarre da certi episodi insegnamenti importanti da utilizzare per tracciare nuovi pilastri su cui mantenere in equilibrio la società.  A quest'oggi, invece, di quel mondo in affitto che il futuro dovrebbe prendere a tutela rischia di rimanere poco o niente: la crisi economico-finanziaria ha generato rimedi che, sul medio-lungo termine, rischiano di convertirsi in una nuova e pericolosa crisi sociale. In questi momenti, infatti, generazioni di precari e disoccupati, di studenti e di indignati stanno sprecando tempo agli uffici di collocamento di un domani che non esiste.  Ogni attore della società ha, in questa nuova rabbia, delle carte da giocare per non perdere la sua partita nell'amministrazione del bene pubblico, divenuto ormai solo bene comune.  L'indignazione generale esprime un pensiero collettivo che sottopone, ai governanti, una semplicissima domanda: inimicandovi il futuro, come farete un domani a governarlo?  Nel mezzo di questo vento nuovo rimangono, purtroppo, frange indegne dei mestieranti della contestazione il cui unico motto sembra essere 'distruggere a prescindere.' Esulando da questo contesto, ciascun indignato chiede che parole chiave assumano veramente nuova voce nella ricostruzione che si avvicina, inevitabile: capitale umano, sicurezza, acqua, conoscenza, energia rinnovabile e scuola sono solo alcune parole capaci di richiamare campi semantici di sterminata vastità.  Poveri e meno poveri procedono, in un crescendo che non può essere isolato, ad una ribellione che sembra non voler accettare alcun tipo di compromesso.  Su questi confini, sono molto labili le possibilità di passare dalla ragione al torto.  Forchette rotte siciliane si mescolano a rivolte contro banche e modelli economici che hanno compromesso il fragile equilibrio del domani. In altra voce, al troppo sonno sta seguendo un veloce e forse troppo potente risveglio.  Giovani ed esseri umani chiedono, in una commistione imprecisa di voci, di potersi riappropriare di un futuro migliore.  Non è demolendo tutto che è possibile, però, ricostruire un qualcosa di migliore del precedente.  L'esperienza recente dovrebbe avere insegnato all'uomo che, prima di collassare su sè stesso, ungenerico sistema sfoga le sue ire funeste sul suo primo creatore: l'essere umano, appunto.  Su questi confini, infatti, un'incontrollabile economia sta degenerando in una crisi sociale che rischia di produrre pericolose derive per l'equilibrio dell'intero sistema mondo.  La prima vittima della distruzione totale rischia di essere, ancora una volta, quell'uomo che pretende di riavere voce in capitolo nella complicatissima opera di ricostruzione. Non è abolendo e demolendo tutto che un argine trova forza e voce per resistere e ri-esistere. Dietro al comune sussurro, comunque, è oggettivo vedere come il mondo intero sia giunto ormai ad un definitivo punto di svolta.  La forbice sociale rischia di tagliare anche coloro che, fino ad oggi, hanno lottato sottotraccia per pretendere più ricchezza di quanta ne fosse, umanamente, pretendibile. La protesta è una voce inarrestabile, dettata da quell'indignazione che Spinoza descrisse come figlia del troppo timore accumulato.  La pentola a pressione della società è, a regime, ormai prossima all'esplodere.  Gli 'eserciti della salvezza' si percepiscono lontani, in un momento nel quale parlare di una rivoluzione sembra cosa umanamente ed economicamente insostenibile. Il cambiamento collettivo è, ad oggi, sempre più collettivamente preteso.  Non è demolendo un sistema che si imposta un sano ed equo cambiamento collettivo: che ne sarebbe stato del debito pubblico italiano se non fosse stato calmierato dagli acquisti a pioggia fatti dalla BCE? Che ne sarebbe stato della piramide della società senza il decisivo apporto e supporto della base?  Le domande sono troppe, e tragicamente profonde per essere sanate o risolte con sufficiente chiarezza: di fronte ad un sistema generale in disfacimento minimo, purtroppo, si colgono le avvisaglie per un sussurro che potrebbe, di giorno in giorno, diventare sempre più forte ed impetuoso.  Ogni architettura del sistema dovrà modificarsi, se vorrà salvarsi dal fiume di stenti e stentanti che rischia di trabordare dai fragili argini dentro i quali è stato, per troppo tempo, conservato.  La politica dovrà contaminarsi, smarcandosi di oscurità per tatuarsi la non modificabile virtù della trasparenza.  L'economia dovrà essere riscritta dall'etica, e dall'eticamente sostenibile.  Resistere per ri-esistere, senza però cedere alla rivoluzione puramente distruttiva: così facendo, per fortuna o purtroppo, di questo ancora bellissimo mondo in affitto non resterebbe in piedi nulla.
INDIGNATI E PREPOTENTI, MA CONSAPEVOLI: RESISTERE PER RI-ESISTERE

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