...Tutto ebbe inizio con un anziano partigiano francese ed eroe di guerra, Stéphane Hessel, che vedete nella foto durante un rally pro-Palestina, e il suo libretto “Indignatevi” in cui: “punta il dito sul divario crescente fra ricchi e poveri, contro la dittatura dei mercati finanziari, contro l’erosione delle conquiste della Resistenza francese, scagliandosi inoltre contro il trattamento riservato ai clandestini, contro Israele* e contro l’influenza della “destra” nei mass media, auspicando a un ritorno ai “valori democratici” ispirati dalla Sinistra. I curatori della prima edizione del libro, Sylvie Crossman e Jean-Pierre Barou, dissero in una intervista che erano alla ricerca di un editore americano e sarebbe molto bello se a sciverne la prefazione fossero attori come George Clooney o Sean Penn. Chi meglio di Penn infatti? Come spesso accade negli Stati Uniti, paese in cui attori privi di qualsivoglia preparazione si improvvisano politici, Sean e’ molto attivo. Estimatore di Castro e’ stato in Venezuela per incontrare Chavez che ritiene un grande politico discreditato negli Stati Uniti : “Every day, this elected leader is called a dictator here, and we just accept it, and accept it, and this is mainstream media, who should — truly, there should be a bar by which one goes to prison for these kinds of lies.”
*Anche se: “Mr. Hessel denies that he is anti-Semitic or anti-Israel. “I feel that I am completely in solidarity with Jews in the world, because I know what it is to be a Jew,” he said. “I’ve seen what it is, I am myself of Jewish origin, and therefore I can only be fully in support of the idea that the Jews, after all they’ve suffered, need a country where they are at home. I shouted my joy when Israel was founded. I said, ‘At last!’ ” (New York Times). Cio’ non meraviglia affatto: il mondo pullula di intellettuali bolscevichi . Pensiamo in Italia a Moni Ovadia o allo stesso Sean Penn.
Giuste rivendicazioni quindi (la situazione di Israele e’ piu’ complessa pero’), ma la ricetta per uscire da questa situazione non e’ cosi’ semplice e non puo’ basarsi su vecchi slogan e procedure. Pensate, se ne e’ accorto pure Castagnetti! (vedi Seminario dal titolo “Socialdemocrazia: eclisse o rilancio?”)
Ma torniamo agli Stati Uniti dove continua la protesta anti Wall Street degli elettori di Obama; ovvero dei movimenti LGBT, delle sigle sindacali, dei pacifisti, del partito Socialista americano, di movimenti vari fra cui MoveOn.org etc. Sul sito Global Revolutions potete seguire in live streaming eventi e interviste relative alle iniziative e alle proteste. Occupy Wall Street ricorda le iniziative del Popolo Viola nate, queste, da un tam tam spontaneo su Facebook, ma e’ chiaro che dietro Occupy Wall Street c’e’ invece qualcuno con una strategia precisa e sopratutto soldi. Ad esempio dietro MoveOn c’e’ il finanziere George Soros, mentre dietro molti manifestanti c’e’ Barack Obama in persona. Vedremo in seguito in che modo. Altrimenti come mai queste persone userebbero gli stessi slogan pubblicitari del presidente e ne appoggerebbero le ricette politiche se facessero davvero parte di un movimento a-partitico spontaneo?
Fonte: La Stampa
In piazza con i manifestanti anche studenti e sindacati. Lo slogan: finite la guerra, tassate i ricchi
Con una inattesa dimostrazione di forza gli indignati di «Occupy Wall Street» invadono le strade di Downtown Manhattan riempiendo a migliaia Foley Square al grido di «End the War, Tax the Rich», fine alla guerra e tasse ai ricchi. Tutto inizia a Zuccotti Park alle 15, le 21 in Italia. Tutto inizia quando l’accampamento dei drappelli protestatari su Liberty Street accoglie una marea umana multicolore. il popolo delle associazioni studentesche e delle Unions, i sindacati degli operai di New York. Fino a questo momento gli indignati di «Occupy Wall Street» sono stati soli nella sfida all’«avarizia dei ceo» iniziata il 17 settembre, negli scontri con la polizia sabato sera sul Ponte di Brooklyn e nelle notti trascorse nei sacchi a pelo, giocando a scacchi o suonando i tamburi. Ma con l’arrivo di insegnanti ispanici, operai filippini, studenti universitari, magliette blu degli idraulici del Bronx, insegne rosse delle «famiglie lavoratrici» e un’infinità di altre sigle del proletariato urbano cambiano i numeri e anche l’impatto della rivolta che si propone di «trasformare Wall Street in Piazza Tahrir» come riassume Jouno, 20 anni, studentessa di Portland, Oregon. L’appuntamento fra gli studenti e i sindacati avviene con puntualità sotto gli occhi di dozzine di agenti, schierati con auto, mezzi e anche le torrette bianche che consentono di osservare tutto dall’alto. L’abbraccio fra le diverse anime della protesta si svolge all’incrocio fra Liberty Street e Broadway attorno ad un piccolo cartello bianco con scritto «Jobs» (posti di lavoro), che diventa la testa del corteo. Gli ordini della polizia sono rigidi: chi invade le corsie stradali rischia l’arresto (N.B. per forza: avete idea di cosa voglia dire in termini di sicurezza bloccare una di queste arterie NewYorkesi?). E così a centinaia risalgono Broadway verso Nord invadendo i marciapiedi. Al passaggio di cartelli «Eat the Rich» (Mangia i ricchi), gruppi di improvvisati suonatori jazz e cori «Siamo il 99 per cento, unisciti a noi» succede di tutto. I turisti messicani si sporgono dagli autobus facendo con le dita il segno di vittoria, dal negozio di AT&T all’angolo con Vesey Street i commessi afroamericani escono applaudendo, davanti al Sun Building un passante caraibico alza al cielo il pugno nero dell’orgoglio afro, alcuni broker bianchi contestano la protesta e vengono subissati dai fischi. Lo schieramento di polizia è massiccio ma il servizio d’ordine dei manifestanti non ha sbavature, ripete in continuazione «restate sui marciapiedi» facendo ricorso anche ai megafoni.
L’obiettivo è arrivare a Foley Square, la piazza davanti al tribunale di Manhattan intitolata al combattivo fabbro che a fine Ottocento contribuì a creare il partito democratico cittadino. Sono da poco passate le 17, le 23 in Italia, quando la testa del corteo entra nei giardini. Ad accoglierla c’è un’orchestra di tamburi e trombe e un’altra massa di manifestanti, ancora dei sindacati come anche di MoveOn.org, l’associazione ultraliberal che nel 2008 tanto contribuì all’elezione di Barack Obama e che continua ad essere finanziata da George Soros, lo spericolato speculatore che si è schierato a favore di «Occupy Wall Street». Foley Square si trasforma rapidamente in un tappeto umano che contiene oltre 10 mila anime, forse di più. Sventolano i drappi rossi dei socialisti, le bandiere americane rovesciate dei pacifisti, i colori dei cubani che auspicano «il risveglio popolare» e, sui gradini del tribunale, campeggia un grande striscione con scritto a caratteri cubitali «Revolt». Ad averlo confezionato sono due ragazze, Kerry di Miami e Lora di New York. «Rivolta non significa prendere le armi ma auspicare un grande cambiamento - dice Kerry, tenendolo bene in alto - proprio come avviene nel linguaggio musicale». Per Lora «qui stiamo facendo la storia e abbiamo voluto dare un nostro contributo».
N.B. il ‘grande cambiamento’ auspicato dal ‘sogno’ Obamiano: la lotta di classe… e Obama ha applaudito pubblicamente queste proteste contro Wall Street e la cupidigia dei “ricchi”. Da buon “Community Organizer ” quale era, erano mesi che il suo entourage lavorava dietro le quinte e lo stesso Obama auspicava una mobilitazione dei suoi fedelissimi: i suoi “campaigner” incitavano con e-mails e sms a organizzarsi per fare propaganda al partito, leggi qui e qui). Non si capisce pero’ chi vuole far fessi (a parte i suoi sostenitori) perche’ e’ noto a tutti che e’ stato proprio lui ad aver salvato i banchieri di Wall Street e aver accelerato la seconda recessione con la sua politica economica degli stimoli… Un fatto che i protestatori sembrano beatamente e volutamente ignorare…
Pochi gradini più sotto un ragazzo con una maschera dorata assicura nel suo cartello che «la lotta di classe sta arrivando» e in effetti nella piazza ricolma sono temi e colori della sinistra radicale a prevalere. Dei militanti del Tea Party visti pochi giorni prima a Zuccotti Park non c’è traccia e i sostenitori del repubblicano Ron Paul riescono a farsi largo a fatica solo gridando «End the Fed», poniamo fine alla Banca Centrale. Gli avversari di Obama tuttavia non mancano: dai ragazzi di Queens con le magliette anti-Barack agli irridenti adesivi sulla «speranza mai avveratasi» con tanto di effigie presidenziale. (N.B. Persino Michael Moore ha accusato Obama di essere un radical-chic che promuove un “socialsimo per ricchi” e di non aver mantenuto le promesse elettorali.)
La piazza degli indignati non si riconosce in leader e partiti esistenti, sfida tutti, accomunata dalla convinzione che si possa mettere fine alla crisi finanziaria «terminando la guerra e tassando i ricchi» al fine di rovesciare un mondo dove «i cittadini falliscono e le banche vengono salvate», come gridano i cori ritmati. Quando su Manhattan arriva il tramonto, gli indignati sfollano ordinatamente, tornando a Zuccotti Park dove da oggi si sentono più forti e meno isolati. Anche perché i sit-in di protesta si moltiplicano da Los Angeles a Boston;
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