James Schamus porta sullo schermo le pagine del romanzo di Philip Roth con attenzione e delicatezza, aiutato da due protagonisti eccezionali e da una storia di base eccellente: elementi perfetti per un film che emoziona e convince.
Serena Catalano Figura mitologica metà umana e metà pellicola, ha sfidato e battuto record mondiali di film visti, anche se il successo non l'ha minimamente rallentata. Divora cortometraggi, mediometraggi, lungometraggi, film sperimentali, documentari, cartoni animati: è arrivata addirittura fino alla fine della proiezione di E La Chiamano Estate. Sogni nel cassetto? Una chiacchierata con Marion Cotillard ed un posto nei Tenenbaum.
1951, New Jersey: i famosi anni cinquanta si stanno affacciando nella nuova America che sarà presto presa d'assalto dal Rock'n Roll di Elvis Presley, dalla "golden age" cinematografica, da un futuro che ormai bussa alla porta di una nazione florida e ricca. Il 1951 è però anche il secondo anno consecutivo della guerra di Corea, che ha portato via a quel New Jersey pieno di speranze molti dei suoi giovani più talentuosi in ogni comunità, anche quella ebraica in cui vive Marcus Messner ( Logan Lerman), costretto a partecipare al funerale di un suo compagno di scuola e a salutare gli amici di sempre pronti a partire per il fronte. Anche Marcus parte, ma la sua destinazione è il college di Winesbourg, in Ohio: studente modello, sportivo d'eccezione e determinato a diventare avvocato, Marcus programma il suo futuro un passo alla volta con una determinazione forte, che lo porta a voler andare oltre la sua famiglia proletaria e la macelleria Kosher di suo padre Max ( Danny Burstein) per fare un passo avanti all'interno della società. Eppure, come ci insegnano le pagine di Indignation, la nostra vita porta in una sola direzione, quella della morte, che accomuna ogni essere umano e non è mai casuale: ogni piccola decisione che prendiamo ha come conseguenza un altro avvenimento, che in una concatenazione di eventi porterà al nostro ultimo istante in vita. Un istante che abbiamo scelto noi, qualsiasi esso sia.
Dalla pagina allo schermo: dare vita ad un best seller
C'è molto delle pagine di Philip Roth nella versione cinematografica di Indignation portata avanti da James Schamus: le sue domande, il suo viaggio onirico alla ricerca del momento di svolta che ha trascinato Marcus verso il suo destino, la scintilla di ribellione del suo protagonista - prima silenziosa e poi focosa, vomitata su una vita che gli rimane troppo stretta. Ma sopra ogni cosa, c'è la performance di Logan Lerman, lontano dai tempi di Percy Jackson e ormai attore maturo e consapevole. All'alba dei suoi ventiquattro anni l'attore californiano sembra essersi ritagliato un ruolo di spicco all'interno della Young Hollywood, viaggiando di libro in libro e di studente in studente da Noi Siamo Infinito al fianco di Emma Watson fino a Indignation, stavolta al fianco di un'eterea Sarah Gadon, perfetta nel ruolo di Olivia. Bionda, fragile, sorridente ma tormentata, la Gadon interpreta perfettamente l'ago della bilancia del destino di Marcus, portandolo a distaccarsi sempre di più dal suo percorso ed avvicinarsi alla sua emotività attraverso non solo il sentimento ma anche la scoperta del proprio corpo, che diventa fondamentale nel suo processo di identificazione personale e costruzione dell'individualità. I due funzionano benissimo sullo schermo, aiutati anche e soprattutto dagli adulti - una su tutti Johanne Baron nei panni della madre di Marcus. Le pagine di Philip Roth scorrono sullo schermo grazie ad un lavoro combinato tra Schamus e il direttore della fotografia Christopher Blauvelt, che disegna soprattutto negli interni un gioco di contrasti e di ombre perfetto nel ricollegare l'immaginario di Marcus alla sua realtà. La pellicola abbandona il tocco onirico delle pagine ma al contrario si fa più reale, chiudendo il cerchio solo alla fine e ricollegandosi alle prime battute così da rinchiudere tutto ciò che viene raccontato nel mezzo. Cinematograficamente funziona, e James Schamus sembra non aver paura di utilizzare una tavolozza carica, satura e piena di ombreggiature per restituire alle pagine del libro una giustizia che, alla fine, sembra funzionare anche autonomamente.
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