Indiscrezioni sul bello. Prolegomeni alla fondazione di un’estetica del piacere 1/6

Creato il 15 febbraio 2015 da Criticaimpura @CriticaImpura

Michelangelo, “Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre”, 1510, Cappella Sistina

Di VINCENZO LIGUORI

Indiscrezioni sul bello

Prolegomeni alla fondazione di un’estetica del piacere

I

Il tema della bellezza deve essere trattato con disinteresse, così ammoniva il vecchio Kant. La bellezza è scriteriata, a essa non s’accompagna alcun concetto, le passioni l’umiliano conducendola alla rovina, l’agguantano e ne fanno poltiglia.

Il disinteresse per il bello accenna anche alla sua totale incapacità di avere un fine. In altre parole, la bellezza attrae ma senza scopi. Anche la procace prostituta che ammicca sorridente e con compiacimento, partecipa al bello, ma la sua – affermerebbe ancora il filosofo – è pulchritudo adhaerens, come dire la bellezza di un mammifero o quella di un vecchio casamento. Essa, cioè, presuppone uno scopo. Il mellifluo delle sue manfrine allude senz’altro al piacere ma lo scopo, quello sì, lo porta scritto in fronte e spesso ha un prezzo.

Parlare del bello è comunicare il vuoto, aprire bocca a caso, ruttare. Ciò di cui solo si può trattare, invece, sono le sensazioni (come di gusto, di palato) che esso procura. Ma anche in questo caso, occorre dirlo, è come accennare a un fremito, un prurito, a un leggero fastidio.

Che il bello viva meno di una rosa o di un immondo insetto, è la miseranda verità con cui adesso bisogna fare i conti. Il piacere lo scalcia via come un cane rognoso e ne prende altèro il posto. Si scrolla di dosso quella ingombrante zavorra per farne ricordo. Nelle espressioni “questo quadro mi piace”, “quella musica mi rapisce” o “il film di ieri mi ha sconvolto” è ora il vulnus della questione. Il fatto, cioè, che il bello è definitivamente sepolto e per sempre fuori discussione. Soltanto il piacere mi interessa, mi rende di colpo un soggetto estetico e mi mette immediatamente in rapporto diretto con questo quadro, quella musica o con il film di ieri. Insomma, il piacere è l’unica traccia consistente di un bello archiviato per sempre. La testimonianza di un passaggio che è nei nervi, nei muscoli, nello stomaco ad avere ormai asilo e cittadinanza.

Soltanto una speculazione astratta e stucchevole si occupa ancora del bello e si trastulla con argomenti dai quali da tempo esala soltanto un insopportabile fetore. Un’estetica matura e concreta, invece, è nel piacere che trova il suo interesse, dal piacere si lascia convincere e avviluppare. Come Giobbe coperto di cenci e piaghe, l’estetica del bello – chiamiamola con disprezzo così – farfuglia ancora le sue superate fantasticherie quando l’estetica del piacere ha già raggiunto il culmine della soddisfazione. Un rivolo di sudore copre la fronte di chi essa riempie come un otre, mentre un tremore, un rantolo appena smorzato concludono l’atto che schiude le porte alla conoscenza. Chi pretende lo stesso dal bello, sciupa il suo tempo. Chiuda Kant e passi ad altro.

[Continua…]

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Vincenzo Liguori (1965), napoletano, ha concentrato i suoi interessi particolarmente nello studio della musica e della filosofia.

È autore di musica da camera, sinfonica e di numerose musiche di scena e sonorizzazioni per spettacoli teatrali.

Ha pubblicato per le case editrici musicali Zimmerman (Francoforte) e Tactus Fugit di Roma.
È autore della Cantata dei fantocci – requiem profano per soli, recitante, quartetto jazz, coro e orchestra, più volte eseguita in pubblici concerti e rassegne musicali e dell’opera-concerto per attore, voci soliste ed ensemble strumentale Anna delle fonde, liberamente ispirata ad Anna Christie di Eugene O’ Neill.

Un suo racconto dal titolo Area di smistamento primario sarà prossimamente pubblicato per la casa editrice Villaggio Maori.

Il suo interesse per la filosofia e l’estetica musicale, invece, è evidenziato negli articoli pubblicati dalla rivista di musiche contemporanee Konsequenz, diretta da Girolamo De Simone.

È docente in ruolo nella Scuola Secondaria di Primo Grado.


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