Colin Marston (Krallice, Gorguts, Behold The Arctopus, Dysrhythmia) e la sua Warr Guitar tornano a indossare le vesti di Indricothere per continuare quanto iniziato nel 2007. Sei tracce numerate, a seguire l’ordine (sparso) del primo episodio, danno vita a un lavoro in cui lo stile funambolico e convulso del musicista si sposa con atmosfere e melodie a cavallo tra death e black, senza perdere mai un retrogusto prog e un deciso piglio “avantgarde”. Si potrebbe parlare, per quanto riguarda proprio le atmosfere, di un crocevia tra i Dissection e gli Arcturus privati di ampollosità, ma non di quella grandeur che dona un che di maestoso al tutto. Non mancano momenti in cui la tecnica del musicista rischia di prendere il sopravvento sul feeling, ma fortunatamente il tutto è gestito da Colin sul limite e senza mai cadere, un po’ come quegli equilibristi che fanno stare con il fiato sospeso senza lasciar comprendere se si tratti di mosse studiate a tavolino o di reali inciampi, di trucchi per attirare l’attenzione o di veri rischi. Di sicuro, questo non è un album per chi mal sopporta virtuosismi e salti mortali sul manico dello strumento, ma – a differenza della maggior parte dei concorrenti – è soprattutto un disco di canzoni e di melodie, in cui le intricate scale e i continui cambi di percorso sono assoggettati ad un’idea di scrittura concreta e (quasi) mai fine a se stessa. Detto in breve, non si tratta di appiccicare un assolo virtuoso nel bel mezzo di un brano death o di piazzare qualche fraseggio jazz per far capire all’ascoltatore che si è estremi ma con stile, piuttosto si utilizza l’enorme tecnica per piegarla alla propria idea di metal estremo, in cui Darkthrone, Immortal e Venom ben possono convivere con Vai e Satriani, a creare uno strano ibrido che rende l’album una delle prove più a fuoco e complete della discografia di questo polistrumentista. Si consiglia di osservare da lontano così da poter assaporare il quadro generale e non le singole pennellate di questo impressionista armato di Warr Guitar.
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