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Industria del sequestro imparabile, in Messico sono centomila all’anno

Creato il 06 ottobre 2013 da Eldorado

Ci sono notizie che, per la loro quotidianità ed assuefazione che causano al lettore, non sono più notizie. Si trasformano, spinte dalla consuetudine, nella normalità, nel già raccontato e nella ripetizione. Succede spesso con la mafia in Italia o con la guerriglia in Colombia: ci si assuefa ed è così che si lascia via libera al degrado ed alla consunzione della società. Il caso dei sequestri in Messico è un’altra di queste notizie che non sono notizie. È cosa di tutti i giorni: 290 persone sono rapite quotidianamente per l’esattezza, per un totale di 105682 all’anno secondo l’Instituto Nacional de Estadística messicano. Cifre da capogiro, con tendenza all’aumento, visto che dal 2011 al 2012 l’incremento è stato del 12%.

Due anni fa, il poeta Javier Sicilia in occasione delle marce del movimento civico che chiedeva un forte segnale politico contro la criminalità, si chiedeva quando il Messico avesse perso la dignità. Perché, in fondo, di proprio questo si tratta, di un paese che ha perduto la dignità, il proprio spirito sociale, la solidarietà, cancellati dalla corruzione e dal narcotraffico e dall’arrivismo di una classe dirigente sprezzante e disinteressata al buon governo.

A ruota, però, seguono i milioni di messicani che, assuefatti, legittimano il prosperare dei comportamenti da censurare. Una massa compatta di indifferenti, que no se mete, convinta di poter rimanere esulata dalla realtà. Un’attitudine che va di pari passo con la piena sfiducia nelle istituzioni spesso giudicate conniventi con la criminalità, al punto che solo l’1% dei sequestri viene regolarmente denunciato agli organi competenti. E ci sono poi le testimonianze di chi ha subito il rapimento, fredde, allucinanti, traumatiche: persone chiuse in casse o in armadi a muro per mesi, picchiate sistematicamente, tagliate a pezzi per convincere la famiglia a pagare il riscatto, violentate. Tra queste ci sono anche gli indocumentados, migliaia di latinoamericani che fuggono dalla miseria in cerca del sogno americano e finiscono preda delle mafie della tratta delle persone. A centinaia spariscono nel nulla, uomini e donne senza nome che vengono dimenticati nello stesso momento della loro sparizione. Il Messico, però, chiude gli occhi. Il governo preferisce scommettere su una contraddizione, che è quella di un Paese che corre dietro alla crescita economica e di attrarre investimenti stranieri senza riuscire, però, a tamponare la falla della sicurezza.

L’Instituto Nacional de Estadística continua con i suoi dati nudi e crudi, cercando di disegnare con i numeri il profilo di una società che appare in disgregazione. Il 68% dei messicani si sente insicuro, il 66% dice di aver assistito personalmente ad un’azione criminosa, stessa percentuale che interessa la sfiducia nei confronti dei corpi di polizia. Per chiudere, nel 2012, ventuno milioni e mezzo di messicani sono stati vittime del crimine, al termine di un quinquennio che ha visto aumentare del 150% il tasso di omicidi. 

L’Instituto Nacional de Estadística non si è fermato qui, ma ha parlato anche di 4007 desaparecidos nel corso del 2012. Un’altra bruciante verità, che il Messico ha cercato di nascondere per anni, ma che già nel febbraio scorso era cominciata a trapelare come una ferita aperta, risultato della brutalità poliziale e dei regolamenti di conti tra le bande criminali. 


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