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In un futuro ormai non più così lontano, la distinzione fra uomo e macchina potrebbe ridursi ulteriormente lasciando un vuoto di fondo nell’umanità stessa. Molte delle situazioni che viviamo oggi sono diretta conseguenza delle decisioni prese nel secolo scorso, quando passammo più o meno improvvisamente da una logica del "vivere per sopravvivere" ad una produzione più moderna, incentrata su un'innovazione tecnologica senza precedenti. Ma quanto di ciò che è successo in Europa può dirsi causa di ciò che è il Giappone odierno? Parecchio, direi, ma indirettamente. Il Giappone è divenuto la potenza economica che è oggigiorno principalmente in reazione alla sconfitta occorsa nella seconda guerra mondiale e, tecnicamente, la loro vera rivoluzione è stata, nel lungo termine, una conseguenza della nostra. Purtroppo, la cosa gli è (ci è) decisamente sfuggita di mano, e più che far fronte alla domanda di beni ora è l'industria che crea la domanda, producendo oggetti in serie inutili e banali destinati a rendere le nostre vite altrettanto inutili e banali. Ecco allora che “Industrial Revolution and World War” può assurgere a extrema ratio di quel consumismo il quale, nelle sue forme consuete, ci ha ormai assuefatti; un iperconsumismo per il quale il nostro sangue, la nostra carne potrebbero divenire alla stregua del metallo, e il nostro antropocentrismo, ridicolizzato, affossarsi o quantomeno ridimensionarsi enormemente. Concetto molto shintoista, a dire il vero: se tutto proviene dalla medesima matrice, quella che compone l'universo stesso, e ogni cosa, animata e inanimata, contiene lo spirito divino, l'uomo non solo non è più nobile di una pianta o di un animale, ma nemmeno della materia inanimata – un sasso o, perché no, un pezzo di metallo. “Industrial Revolution and World War” infatti è una distopia di sapore apocalittico in cui esseri umani ridotti in fin di vita vengono riutilizzati, riciclati si potrebbe dire, inserendone alcune parti anatomiche all’interno di macchinari complessi, offrendo loro di fungere, in altre parole, da meccanismi biologici in macchine dalle forme folli e assurde - quasi una sottrazione alla morte per coloro il cui corpo o parte di esso trova una nuova funzione.
La domanda sorge spontanea: è questa la vera rivoluzione che ci attende? Di primo acchito, lo confesso, mi sono venuti alla mente scenari inquietanti ove i dispositivi che adesso teniamo infilati in tasca, in borsa e occasionalmente in mano (smartphone, smartwatch, smartvattelapesca o quant'altro vi possiate “divertire” a immaginare) diventino parte integrante del nostro corpo metà umano e metà macchina, ma ero fuori strada. Perché qui la questione non riguarda inserti artificiali in un corpo umano, non siamo cioè di fronte ad esseri viventi (umani o subumani) con impianti, e nemmeno ad androidi o comunque esseri artificiali senzienti, ma a quelli che sono in tutto e per tutto dei macchinari formati da parti di metallo e da parti umane (un braccio, una mano, una testa, un tronco, ecc.), molto più deperibili del metallo, è vero, ma pur sempre con una loro funzionalità e una loro utilità dal punto di vista produttivo. Essere costretti a una condizione del genere è sempre un oltraggio o può essere anche un'opportunità? Meglio un corpo riciclabile e riciclato oppure usa-e-getta, ovvero corruttibile e destinato alla morte e alla dissoluzione totale?
A questo punto, oltre alla volontà dell'Autore di criticare, demonizzare o ridicolizzare la realtà industriale e l'umanità che l'ha creata, ci si dovrebbe forse domandare se la vera chiave di lettura (o una chiave di lettura alternativa) a “Industrial Revolution and World War” non vada ricercata altrove, per esempio nei concetti di vita, morte e sopravvivenza ai quali avevamo già accennato in alcuni commenti ai post di aprile. Si parlava di Shintoismo e di come la sua filosofia sembri dare maggiore importanza alla vita piuttosto che alla dimensione ultraterrena. Si semplificava, naturalmente, perché in realtà lo Shintoismo non concepisce un solo piano di esistenza e la morte, in quest'ottica, non è altro che il passaggio ad un diverso stato, e inoltre bisogna considerare che, nella pratica quotidiana, in Giappone Shintoismo e Buddhismo sono ormai spesso inestricabilmente correlati. E proprio secondo il Buddhismo la morte è condizione necessaria affinché la propria anima possa evolversi e, di reincarnazione in reincarnazione, raggiungere una forma di perfezione che noi, poco avvezzi a certe tematiche, riconduciamo ad un singolo termine: Nirvana. Impedire la morte, in un certo senso, potrebbe essere considerata come l’azione più crudele che un essere umano possa perpetrare nei confronti di un altro essere umano (e qui si potrebbero inserire pagine e pagine di opinioni circa l’annosa questione dell’eutanasia ma, per quanto stimolante, non è questo l’argomento di oggi). Se un corpo, o una parte di esso, viene integrato in una macchina diventa esso stesso una macchina, ma se è la macchina a sostituire parte del corpo può il corpo stesso divenire immortale, sottraendo l'individuo a quell'evoluzione che l'attenderebbe affrontando l'aldilà e cicli di rinascita e morte? Ovvero, potrà l'uomo un giorno dichiararsi morto al cento per cento, oppure quella parte del suo corpo fatta di circuiti integrati gli permetterà di vivere in eterno? Può l'immortalità risiedere nella materia? Domande a cui oggi è praticamente impossibile trovare una risposta, o meglio a cui ognuno può dare la risposta migliore in base alla propria cultura e alla propria coscienza. Non c’è futuro per quest’umanità, ma a noi restano pur sempre le meravigliose tavole di Shintaro Kago, foriere di uno scenario che è quanto di più terribile possiamo immaginarci, guerra, morte e distruzione, e che pure si ammantano spesso di struggente bellezza.
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