RAMINGO
Che io sia cane
o altra bestia umida
coda mozza e sguardo opaco
cammino sulla riga bianca
ingoiando pensieri di casa e ossa scaldate
cerco voci
mano
occhi
che si fingano cuccia
in cui spargo e annullo i pezzi
in un “ritenta sarai più fortunato”
e ripesco parti a caso
abbaiando al frigo muto
immaginato
niente carne neanche un osso
domani tocca a me
sarò cibo per chi mi sopravvive.
INTERNO 17
A te che mi cammini dentro
e non cerchi uscita
nel labirinto dell’anima
e pranzi in nicchie nere
tingendo le pareti di balsamo e sangue
al tuo passaggio
arrivi in fondo
viaggiando-mi seduto
mi accarezzi l’interno
e non hai parole
ma solo il battito che sento
qui dentro
che preme per uscire.
NINNA NANNA
Trapassa la vecchia trama dal ciglio lacero
l’ago ricama con un nervo di fumo
il tuo nome
ed io dondolandomi
alla cadenza di una litania mortale
ritorno a un nome ottenebrato
un suono rammentato.
Rammendo un abbozzo di fiore
tenue
a ricordarmi aromi e loto
stillano lacrime incorporee e petali
trafitti
nel grigio soffocato
di ago e filo.
PRIMAVERA
Schiudi la corolla
e sputami dentro
i semi
amore
tengo
con un tepore di madre
i tuoi rifiuti
che germogliano pensieri
di frutta
e fertili verbi.
PALUDI
Sento i tuoi passi svelti e clandestini
muoversi nella violenza
di rabbie represse
che si specchiano su pupille
troppo dilatate
da mattine sempre in ritardo
come un farmaco
e pomeriggi che diventano subito sere
senza rossi orizzonti
invasi da notti di lune spente
che si tengono stretti i riflessi
delle anime come paludi
dove nemmeno il loto
ha più dimora.
INVIDIA
Scrivi di un’anima che è carne muta
affettata da lame di pensieri
che fanno il girotondo
mordendosi le mani
e lacrimano le bocche
di quelli che ci guardano
ingoiando serpi cucite strette ai cuori
appesi ai bei cappotti
medaglie alla morale
sorrisi falsi ipocriti
giudizi come massi
ma a noi che cosa importa?
l’amore ha tanti corpi
ma un’unica espressione
che vedo ad occhi chiusi
infilata tra la tua spalla
e il collo.
Nota Biografica:
Mi chiamo Alessandra, sono nata in dicembre, nel 1970. Fin da adolescente ho sempre amato leggere, soprattutto poesie, in particolare Baudelaire, Apollinaire , Prevert ( che rubavo alla mia mamma). Fu la mia insegnante di Lettere, al Liceo, ad alimentare il fuoco della parola, grazie alle sue appassionanti letture in classe, al suo amore per il verso, percepibile e profondamente viscerale. Ciò che io ho scritto, l’ho sempre affidato al mio “caro diario” e da lì non è mai uscito. Almeno fino a poco tempo fa, quando il muro di una mia intima e naturale timidezza sembra essersi consunto, sgretolato, e per ragioni che mi sfuggono ancora o forse perché il desiderio di condivisione è naturale quanto la timidezza, la riservatezza stessa . Amo anche il canto e la musica -da sempre- e devo dire che per me è non vi è alcuna sostanziale differenza fra canto, musica e verso, così come non vedo divaricazione, separatezza, fra poesia e quotidiano, fra sentire intimo ed espressione, esposizione dell’Io attraverso la parola. Il silenzio vocale di un verso credo che contenga tutta la magia delle ‘cose preziose’: si tratti di un gesto minimale, un odore che ti coglie improvviso, un volto immaginato e fantasticato o un incubo che nella “parola” prende forma, consistenza, un nome che lo renda riconoscibile, nominabile, e forse per questo persino esorcizzabile. Del resto la poesia non è mai solo letteratura. E’ Cura. Anche.