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Inediti di Chiara Baldini

Creato il 26 marzo 2014 da Wsf

chiara

Tu non sai papà.
Non l’ho mai schiuso
dalle labbra in perché io faccio
la farfallina come tu mi dici curioso
a guardarmi riempire l’aria del tinello
tiepida di pipa e legno.
Non l’ho mai spremuto
al di là dei pori ma era dolore
adulto nel corpo baccello, fitta
d’essere compressa – pastiglia
rotonda e tonta, forse crescerò.
Non l’ho mai schiuso
dalle labbra il perché ma sapevi
già guardando le lune di me tanta
la pena e la pazienza, fitta
d’essere compressa – pastiglia
rotonda e tonta, si farà la donna.
Pena e pazienza
per l’avvento e l’avventore
che di me vorrà farsi come io
di te sono fatta
e tu in fondo di me.

***

Ninnolo

Pallido inverno sul mio seno
nudo spazza il segno
timido, ricordo di sole.
Come passamaneria della mia pupa
fa ninnolo per il tuo albero
adorno a festa, magari.
Sì, magari.
L’abete è un intruso verticale
ai nostri occhi stesi al suolo
stanchi come corpi giunti, magari.
Si, magari.
È solo una vertigine
su cui pregare i sogni come quando
bambini, magari.
E chiedere al camino di sbuffare
ancora sull’abbozzo di coppia
che siamo stati.

***

Edoardo lo sa

Come le croci che per educazione
mi passo mentalmente
sulla fronte (è ciò che so)
sulle labbra (perché so anche tacere)
sul petto (ti conservo)
davanti a lui così mi segno, carezzando
lobi e capelli d’imbarazzo
prima di comunicarmi.
Lui, che mi vuole di bene bianco:

Edoardo lo sa.

L’unica cassetta di sicurezza per la mia
chiave piccina, custode
singolare di quanto io ti voglia
e mi perda nel tuo volere
e mi perda nelle tue vocali
aperte o chiuse a mio esatto negativo.
Lo vedi, almeno con l’orecchio
che anche nella voce siamo fatti
per essere un incastro?

Edoardo questo lo sa.
Ché lui carezza musica ogni giorno
e sa ch’io penso di noi
poter – essere due dita
umide che lisciano il bordo
d’un bicchiere di cristallo
gemendo di piacere un’eco tonda:
potrebbe – sarebbe un respiro
sorridente nel nostro silenzio.

***

Ho fame di labbra
e di un albergo caldo asciutto
come dove il tuo fiato nacque
a da allora m’imbambina quel tanto
da farmi pulita di talco
e sporca di bugia bianca.
Se effimera è la cosa non poco
mi par a volte vera
da bastarmi quieta e aggiustata.
Come mai quieta mi sono bastata
come mai ricordo d’essermi incrinata.

***

Ricordi Berlino? Io la trattengo
cifrata sulla nocca, invisibile
per l’occhio che non scandaglia fin dove
il mio sa ritornare e nel ricordo
s’appoggia. Così, Berlino ricorda:
erano piccoli pugni di giorni.
Sulla carta felpata di un giornale
c’era un bicchiere di sana spremuta
(ci assolverà da speck e uovo-specchio!)
Perfetto era conoscerci, mangiarci
a colazione in volo sulla mia
maldestra mano, che sa solo fare
cocci e ne mantiene il segno comico
del caso: la ferita è la custode
della memoria. E delle rosse perle
perse solo il nostro parlare fitto
sotto i chicchi di riso solari
rotti dai tigli. Ricordi Berlino?
Eravamo ancora tutto da fare.
Come chi sul giovane sangue spera.

***

Gotto in mano e capo di feltro
sillabail vecchio ricordi e piega
le labbra a fettina di limone
trottando una montaturaal setto
carnoso che bene non so, ma sopra
di lì tra levene viaggiadi piuma.
Tanto basta al mio occhio per rotolare
una biglia d’idea soffiata in testa:
che se quello sia povero e folle
darei oro e senno ora ad essere
così in luna calante.Sì,quelvecchio
mi vorrei. Con te bastarmi, al tavolo
come ora noi, così lui. E guardare
la vita da due guance in appetito
sapendola essere stata anche mia.

***

Due

Perché timorata curiosità
Madre s’impasticca la lingua e tace
facendo il canarino cattivo
in una metà corpo che è miniera?
L’altra parte invece prode è Padre
e spazza con i piedi idee nel sonno
paura no al dovere sempre in palmo.
Sono due così, due in una sola:
bocca-cuore di Cerere gravida
braccia-gambe di Marte sostenuta.

***

Il geco

Il geco ha posto su vetri viltà.
Ticchettato ha i suoi passi
su briciole mondane
con due schizzi di fiato. Il mio fato.
Ha fatto anche cerchietti
lungo tutta la mia schiena – una lastra
sul mio petto che resta – una finestra
aspettandosi che da me nascesse
sciapa mosca. Una mossa.
Poi cauto se n’è andato
puntato ha le ventose in un altrove.
È altro ma non troppo.
Mai troppo lontano dalla mia Casa.

***

1 cent

Legge d’economia il valore cresce
con la rarità della merce. M’esce
quindi un urlo impotente ferma in cassa
strisciando un bottino in doppia massa
per lo sgarro a me Milady offerto
testa di sole da un bullo reperto
archeologico maschio brizzolato
con due pomi in mano e il ciglio seccato.
Ceduto avevo il passo ed il valente
caduto da cavallo Sir servente
ringrazia con la picca della lancia
lasciando del servigio un cent di mancia.
Non dico che gran taglio nell’orgoglio
ché al di sopra in fatto io mi voglio
ma lesta in cocchio m’ammiro allo specchio
pensando se sì poco m’apparecchio
al guardo sotto lente indefesso
di quello che ben poco è il gentil sesso.

Morale della storia sempre accolta
non esiste più il prode d’una volta.


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