Festa all’oratorio
Sono tutti fuori
lentamente sulla fetta di pane
ignara del suo destino
le gocce d’olio scendono
e le campane suonano
le otto e mezza
non riecheggia più la voce del muezzin
sopra le case a stella
nei tramonti stroboscopici
non s’incendia più la mente
ora morta
come spiga al vento della falce
nei fiori sessili, piegati.
Addento la fetta
tra i suoni e le urla della festa dell’oratorio
la vecchia che teme l’inferno siede al primo posto
e scuote l’aria tra le mani sonore
Nina la guarda mentre muove le cosce
- spade fendenti la terra -
non teme le fiamme che le ardono in corpo
e arrossano di poco le gote.
Ognuno cerca
in prima
in ultima fila
una lacrima che si fermi
prima che gli scoppi il dolore in seno
sotto il Cristo che gronda sangue
ancora in quest’estate
di rancido che rimane
nella glottide dei sogni
strozzati a riportarli in vita.
Beatitudini
Tu che dai cieli hai creato terra
condannami senza appello
ho disertato il credo e il dogma di consolazione.
Stendimi senza misericordia
lascia che la miseria tocchi il tuo cuore
l’amore mi rende misera di abbraccio avida
e m’impuro il cuore d’inferno senza pace.
Dammi pena
perseguitami , insultami con ogni sorta di male
chiedo ai persecutori
degni del tuo paradiso
una ragione di giustizia in terra.
Tu, principio creatore
svuotami d’ogni desiderio
legami le gambe
alle rocce di vita dei profeti
arma la loro mano con una pietra
per il peccato da me in viso.
Amen!
Sul finire dell’amore
Ho saputo vorresti amarmi
come uno spasimo che ti colga le viscere, vorresti tenermi
tra il cuore e il sangue
come fossi la tua molecola pulsante
d’ogni tua particella, viva.
Dunque e di conseguenza a questo
dovrei abbandonare il giaciglio della notte per una lunga luce
aprire la bocca alla meraviglia
e dirti: amore, il tempo è come lo si vuole
facendo finta di non sapere
di ciò che finisce e passa
straborda il limite dell’acqua, il corso
annega nei liquidi impluvi di cielo
come l’abbraccio dell’onda al mare, s’infrange
per il desiderio che bagna, asciuga
ogni flusso alla riva
così, finire.
con Marina Cvetaeva
e pertanto mi ritiro dal mondo
cieca, che non ne distinguo le forme
le passioni, le maledizioni e il dolore
eretti a stendardi di show – Dove raffreddore
è chiamato il pianto -
e così esserti vicina, ponte
d’ ossessioni senza congedo
canto di costola e mestiere
fianco dolorante
prestato al mondo di pesi
di cui ci spoglieremo
per vestiti di parole
a coprirci la pelle tarlata
dai fori da cui spiamo
le ferite smisurate
di un mondo di misure.
Biografia:
Nasco a Manfredonia in provincia di Foggia, dove risiedo e lavoro. Sono docente di lingua e letteratura inglese presso ISISS “A.G.Roncalli” e ho partecipato a diversi concorsi, ricevendo riconoscimenti per le opere presentate.
[articolo di A.Taravella]
Filed under: poesia, scritture Tagged: Enza Armiento, il nero delle forme, Inediti, letteratura, poesia, scritture, WSF