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Inediti di Francesca Mannocchi

Creato il 25 maggio 2011 da Viadellebelledonne

Alcuni inediti di  Francesca Mannocchi tratti da “Piango i morti anche da vivi” in procinto di pubblicazione

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Inediti di Francesca Mannocchi

ankemerzbach gallery 2006

Quando ti ho incontrato, eri per me l’una e l’altra cosa: il Senso e
lo Spirito. Essi non si separano mai, Ingeborg.
Sei e resti la giustificazione del mio Dire.
Ma solo questo, il Parlare, non è assolutamente nulla, io volevo anche
essere muto con te.
(P.Celan a I. Bachmann, ottobre 1957)

é con un cerchio che vaga intorno a un vuoto
che trascorro queste ore qui seduta,
la posizione è quella del respiro
nulla ostacola il silenzio, eppure parlo.
prendo il suono che dia forma
a Questa vista
Questo guardarmi
in Questo sguardo
scagliato dentro me
che pure assisto
e quando i due combaciano, si leva
e il suono quando è libero, è un’azione.
Non muovo neanche un muscolo e respiro
trattengo l’attenzione sulla carne
la carne – un precipizio sull’attesa.
l’attesa è il dove di un
nascondimento
se cerchi di guardarla da lontano
eppure, se non temi, non trattieni e poi cammini
l’attesa è una posa infinitesima
uno scatto
l’attesa tiene i fili del pensiero
riscalda i confini dei giudizi
che invece di chiarire fanno oscuro
e quando sono secchi poi li brucia
e zitta fa vendetta del sapere.
é lì che penso a cogliere con gli occhi
che tremo se non trovo le parole
che osservo l’intervallo del di fuori
e sento tutti morti.
Eternamente.
il corpo del malato non è più tempo presente
se non perché il tormento si equivale col
pensiero,
nelle rovine di questa primavera
io attendo e non mi muovo. è la trincea in cui
invento la fatica di restare
per vedere se la fa, bella stagione.
La verità è che il colloquio con la vita
oggi ha il tuo nome
di te che sai, che quando attendo, io lavoro.

Maieutica

condotta dove inizia la pendenza,
un orizzonte esteso
da guardare in trasversale.
senza vittoria
è la soluzione. un addolcirsi
nel rigore dell’urgenza
e spalancare la colonna vertebrale
ad addrizzare il respiro
leggero della genesi.
c’erano stracci bianchi lì a terra.
il sangue di ogni nascita copre
e benedice le vecchie cose migliori.
era l’origine di amare
come l’adempimento alla costanza
in cui mi riconosci.
battezzandomi solo con nome di luce.

Maelstrom

era più di uno specchio
erano le lame brulicanti dei coltelli
da me appesi a ricordare le minacce che
da sempre
mi offre l’altra me che porto addosso
e ora che battono raffiche di vento
le lame squarciano i veli.
non intendo fuggirla, la notte,
piuttosto puntare dritti i coltelli
dell’altra me che porto addosso
i coltelli
che voialtri- sì voialtri che oscuro è il silenzio-
chiamereste pericolo
voglio puntarli
gravi come parole increspate
a scorticare le mie controcorrenti.
resteranno ombre scritte da tronchi incrociati
su di una strada di guerra
e di me solo l’altra a testimoniare,
dopo il salto furioso nel maelstrom.

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Inediti di Francesca Mannocchi

Torrent, Daniel -sèrie mitologia- Filomena 2008

La seconda domanda

“Il corpo non ha dunque organi, ma soglie.” Deleuze, Logica della sensazione

refrattaria al pellegrinaggio del pensiero
ho rimesso gli occhi al loro posto.
Teoria della visione: sei la mia seconda domanda.
e scruto le parole che fa scuro: stanotte muta l’ora.
lo vedi? il tempo può cambiare.
tolgo di dosso la deformazione dell’ordine.
assolvo i miei occhi
e chiamo a testimoni ambo le mani.
si tratta di afferrare un altro sguardo
che, come una distanza, sa di spazio.
il limite ha coscienza dello sguardo che oltrepassa.
è come una stazione, sa bene quanto occorra rallentare
per raggiungere il traguardo.

chi non arriva a vivere fino ad averne terrore
non potrà mai comprendere
il grumo appuntito
di chi
veleggia altrove.

**
è questa Libertà
navigare sopravvento
arrotolarsi sulla strada fino al liminare d’oriente
sgusciare il tempo
nascondervi nei resti le parole
guardarsi come dire cose oscure
e sentire la vertigine del mondo.

(questa non so)

Costruzioni per l’uso

-e solo poi guardare nella terra
e scovare
i segni immani della pena
passaggi di un pensiero che non muta
però
nel tempo di quel tempo che rimane
un poco avanza.
quello che resta, allora,
è come calce
e riduce la tensione del futuro
con l’imbarazzo della costruzione.
è un progetto, credo, come un altro
venire al mondo nell’esperienza di se stessi
e il rischio di innalzarsi è sempre un crollo
da un cielo non guardato a questo ventre.
come un’educazione e come un rito
per mantenere alto il senso complessivo di una storia
alimento la mia casa e la mia terra
coltivando abitudini migliori.
(occorre non sabotarsi)-



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