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Inediti di Gabriele Xella

Creato il 13 marzo 2015 da Wsf

xella

Nato a Imola (BO) il 20/01/74 attualmente vive a Imola. Pensa poesia ancor prima di scrivere, poesia. Sue autoproduzioni sono, stampate in tipografie locali, Angelo che esiste, posti che non so, entro dentro me, Come cerchi nell’acqua nella notte che ci attende e ci dimentica, e le grondaie con gli angeli sopra. Vanta un’uscita ISBN con la casa editrice l’Arcolaio dal titolo Neanche vedo più tutto l’amore. Compie letture credendo che la poesia si compia infine, nell’aria.

***

Meridiana è l’acqua che sgorga dal profilo disabitato.
Genera profumo sulla pelle mare, un manto rimasto.
Mentre io vivo dei tuoi occhi azzurri. Quel neo del tuo piede, mappa che allontana, il vivido timore di vita di un uomo.
Mi migliori.
Se questo popolo creasse un urlo, esplodesse il suo ventennale assenso.
Le parti distinte, tutte, al rogo stellare.
Corpo razzista che muore nel lattice usato lungo la Persicetana.
Una testa tagliata rotola. La luna abbraccia il Congo,
un diamante grezzo illumina il profilo della notte di seta, occhi bianchi nel segreto d’avorio.
Immagina.
Immagina essere libero, dai tuoi silenziosi consensi.
Ove inizialmente vi era un luogo bandito di giunchi,
un campo di tulipani per i segreti scoperti.
L’esercito a cupola ferisce il petto di un pettirosso, occhi negli occhi
Le mura di questa città magre, un bimbo protegge i fianchi materni.
Mentre la dea floreale senza lacuna ti carezza sensibile.
continua covando religiosamente l’essere apolide.
mai senza te, mia terra linfa ,occhi al mattino.
amore che insiste. Nei millenni dell’uomo che ero.

*

La camera degli incantesimi, divelta sulla strada di sasso bianco.
Cristo solo sa che cosa accadrà alle mura, alle vene.
Invade nel segreto coranico, mentre un bambino che guarda allungandosi nel loro viso,
discioglie l’arcano, come una disciplina.
Tu considera che a pochissimi è dato il dono di avere sofferenza luminosa. Maneggialo come cristallo,
comecuore in una teca,
corpo malato e gracile, che ancora ami e adori.
Questo paese governato da quarti di bue, la chiesa fredda sotto alle tuniche.
Tuniche mosse come gonne su occhi di ragazzo bambino tremante.
Il resto,
è l’abitudine.
Non una colpa infine a loro.
Cedi il terreno ad altri, che semineranno cemento colato,
rovine su una società muta.
Un damascato sentire investirà la gioia silenziosa. non permettere ai vincitori, di entrare. Investire dimore.
Rimani nudo.
Abbandonati alla notte dal profumo spirituale.
Bacia le mani edera
sia il tuo corpo abitato dalla penombra dei tuoi sogni.
Ti bacio le guance, mentre dormi ed esco sulla città annidiata.
Posso morire anche domanipenso, il tocco del vivo è mio.

*

Viola,
La tua scollatura a colpo di vento, permani lungo la mia strada ipnotica,
quercia che piega sul dorso del cielo alato che deserta nuvole.
La libellula del ferro poggia arcana sulla città antica, mangiamo a una tavola bandita,
noi operai bruciati dal sole sotto arcate di ferro che amoreggiano con nuvole desnude.
Noi vediamo luminosi oltre i loro occhi azzurri.
Difendiamo la terra, facendoli entrare come ospite atmosferico.
Ciliegie attraversano la camera del cuore, adoro quelle foglie quanto
una donna guarda gli occhi dell’uomo dopo che hanno fatto l’amore.
La stretta poetica come la stretta carnale.
Finché dura, impedisce le prospettive di miseria del mondo.

*

L’orario dei fiori giunse. la fatica delle bestie toccava il cuore della nazione nel fondo degli occhi. Alcuni uomini conoscevano la vergogna del niente, Come sotto a una cinghia di trasmissione perdevano il respiro per sempre.
Il verde del vecchio tranvia collegava il battito. grossi capelli di bambina, vivevano.

ero nelle tue braccia amore,
fuori mormoravano una canzone in francese.
il mio male s’è alla fine riconosciuto,
mentre abbiamo mosso le verdi acque del silenzio,
sempre spossati da lotte contro le mutazioni, vetri che brillano nel firmamento.
la gentilezza di una guancia fatta di tutti i singhiozzi.
inventerò per te la rosa.
Io,
Sono toccato dal meraviglioso.
È questo il solo modo in cui possiamo diventare.
Amarci nei rami, giunti, al manto di una carezza.
L’amore insiste.
Nel gesto dei capelli dietro l’orecchio, le vene come preghiere.
Cotogni da fiore, sotto fogli in cui mi dichiaro uomo, ti baciano lenta.

*

Viene, dicono, inarcando il collo nello sfregio,
dal quale la pelle rosata libera uccelli con ali di vetro.
Essi volano su terreni fabbriche sfinite nel muschio della neve.
fronde in melodie rosse, svegliano un cuore gonfio d’acqua.
e il lato d’ombra e il lato di luce dell’uomo
si schierano come mano il cui setaccio sembra abbandonare la preghiera.
l’albero e il suo uragano volitivo, fuso nel brillante della terra, è movimento ancora.
Mentre vedo attraverso sul biancospino della pioggia, i passi innamorati su foglie di limone.
Viene, dicono, come un immagine timida, le braccia tumefatte di Cristian F,
Ha meduse azzurre tra i capelli e tra le mani la moneta della luna.
Venendo verso la città segreta, nella frattura della terra,
mentre la bestemmia e la condanna si erge saziando
l’immaginario della paura di uomo.
Così, la chiave scorrerà sui mari degli amanti
nel legno del figlio nascerà il tulipano di riguardo.
Nel silenzio sentiremo l’accordo reale.
amore
In te abbiamo le nostre essenze e ci muoviamo

*

Non dovremo denigrare il mondo, affinché il superbo del bosco risuoni nelle filiformi braccia aperte.
Meravigliosamente non sono più sicuro dello spigolo dell’uomo.
La frattura, il cemento cavo della Quinta Mafia,
l’anello al dito risuona nella massa, a tratti più potente della luce di un sacerdote.
Affidato all’ora dell’amore e della palpebra turchese.
io, che non ho mai vissuto prima, forse volato sopra di voi,
mentre il foglio brilla come un lampadario d’acqua toccato appena dal sole.
Rivoluzione. la coperta dell’unica stella della notte,
si riprende le sue terre.
il cosmo scritto per amarti,
come una divisa.


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