Inediti di Maria Grazia Di Biagio

Creato il 16 febbraio 2015 da Wsf

Maria Grazia Di Biagio, Laureata in lingue e letterature straniere all’Università G. D’Annunzio di Pescara, dove attualmente vive e lavora, ha contribuito, con una Tesi sul “Dialetto Vallese di Rimella”, alla stesura di un vocabolario a salvaguardia dei dialetti Walser in Piemonte.
Nel 2012 vince la II edizione del Dieci Lune festival dell’Autore 2012 a Napoli con la silloge poetica “Nella disarmonia dell’inatteso”, in seguito pubblicata dalla Casa Editrice Bel-Ami organizzatrice del Premio, con prefazione di Dante Maffia.
Collabora con il Blog di Poesia La presenza di Erato.
Suoi testi sono presenti in diverse antologie e riviste letterarie, tradotti in inglese, olandese e rumeno.

*

Questa pace che stanca l’orizzonte
per eccesso di riverberi
approda incolore sui resti
inghiotte rottami – ritorna –
Talvolta porta un legno in bocca
il più delle volte nessuno
Se così è l’eterno
dovrò fare una breccia per tornare
di qua – dove una luce non dura.

*

Sono volati i panni
non c’è appiglio che tenga
Decapitati – i gambi
si flettono in memoria
Un vuoto di plastica
staziona sovrastante.
Dove saranno andati –
le fiandre, i fiori
quello che c’era dentro
Chi resta è fermo
su granuli di adesso.

*

Nessuno sentì la porta aprirsi
il brivido dei caloriferi
a un passaggio di spettro
La sedia s’inalberò non poco
per l’incomodo
ma era d’inverno e
si pensò che fosse naturale.

*

E’ una spina che preme sulla quinta
vertebra o un germoglio d’assenza
prossimo a farsi strascico
di tessuto metamorfico.
Si poteva evitare il contatto con l’ora
l’appuntamento al buio con il giorno.
Che il fiume deve scorrere alla foce
e il dolore risalire la corrente
sono cose già dette.
La storia è scritta – sempre a posteriori
con il sangue di qualcuno
dalla mano neutra di un cronista.
Chi c’è stato rilegge per il gusto
amaro di assentire o confutare.
Ti vorrei levare il peso della risalita ma
non siamo fatti per essere salvati
dalla nostra storia.

*

Impone la mitezza, questo inverno
nel bianco taciturno del perdono
verrà come sempre al galoppo
gelando i resti putrefatti dei distacchi.

Qualche offesa sparuta
caparbia a non cadere immedicata
permane sulle istanze –
abbozza la rivalsa in un cartoccio d’ombra.

Questo – più o meno – è quanto intendo dire
prima che l’indulgenza di stagione
muti ogni rancore in gemma
avvolta nella luce di un ghiacciolo
(forse in un altro modo).

*

Nessun altro strumento che i sensi
– ingannevoli –
e questo dire a misura dell’inganno

ma siamo accaduti – ne ho prova
scritta sulla ritorsione del pensato
– indimostrabile –

*

In sintesi – un guizzo in un lago
appena il tempo di scorgersi riflessi.
A pelo d’acqua un cerchio – scrive
il suono che ci prova – e ci disperde.


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