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Inediti di Tommaso Papais (Emilia Barbato)

Creato il 09 giugno 2015 da Wsf

Tommaso Papais

Tommaso Papais, classe 1977, nato a Varese, vive e lavora tra l’Italia e la Svizzera. Si occupa di persone tossicodipendenti e adolescenti come educatore e musicoterapista.

Da settembre 2014 scrive su linevitable.wordpress.com

***

Narciso

Un solo gesto vero
che squarci le vele ai demoni.
Un occhio oltre lo specchio dell’acqua
ne sveli le trame.
Celebrati a denti stretti, in fretta, i lutti
per belle amanti sconosciute
in attesa agli attracchi, ai mercati dei porti
o nei merdai.
E’ finta la parte che muore.
Solo il dolore è vero
ma ha un altro nome.
Trovarmi solo, qui
sul ponte del tuo slancio
a guardare affondare tra i flutti le mappe.
Non più fari o coste per navigare a vista
né malia d’astri a orientarmi la notte.
E non un facile abbandono
alla balìa delle correnti.
Non mi resta che rivoltarlo questo mare.
Eram. E farmi tutto nella mano
che tiene il ventre,
mentre mugolo il nome della cosa muta in alto.

*

Filamenti

Qui dove il tedio langue
e dirlo mi riporta all’estuario
di un fiume portoghese
che esiste soltanto per averlo sognato
e sento di somigliare a un foglio
velina ancora troppo fradicia per veleggiare
giace
ondeggia
in un limbo di mare inchiostrato
e dice: “Perché la libertà?
Più di un soffice giogo
a tamponare il taglio primo
in attesa dell’incrosto…”
E dice: “Perché la verità?
Più di un affondare docile, ciascuno
con la propria intascata miseria…”
Eppure, l’amore era sciogliermi compiuto
nell’oltre di quest’acqua
fosse anche solo
per la potenza del peso spostato
da queste ascensionali, calde correnti
e tutti quei filamenti
di luce d’aria e d’orchestra
di quando non più noi eravamo
eppure ancora uniti, trapassati.

*

Per A.

Ho un pezzo di pane nella tasca,
è zuppo e non so
se avrà ancora il tuo nome
o che sapore avrà una volta a casa.
Andrebbe buono a compiacermi di pesci
tutto intorno ma io
te lo voglio portare, e poi ho trovato –
in questa cerca di cane, di vero –
un filo imperlato di valve lucenti, doni
di cui esser grato e non so da che pende
lo tengo tra i denti, lo tendo
che ho urgenza di tornare
affondare la tua terra di radici
tutto il resto si slabbri si
decomponga, fecondi altrove, qui
certe bracciate, certe gambate hanno già
il profumo di respiri compiuti.

*

Cattedrale

Ho un corpo adesso
completamente immerso
si meraviglia
di/venire percorso
da tutte le dorsali,
oceaniche presenze
i verticali slanci, le
cadute, le
ripartenze.
Le sue membra dispiegate accolgono l’umano
l’inerte, l’animale.
E’ divina l’entità
di questo osmotico scambio
il pensiero si
ripone, riposa un istante
sulla pelle degli occhi,
delle foglie, dei sassi
sulla corteccia di un castagno.
Dalle nostre mani unite
un unico canto si dipana
lungo le linee del silenzio
verso ogni praticabile distanza.

*

Adamo

Venne il serpente e con lui le parole.
Vennero all’albero che amavo.
Il loro dire me lo rese estraneo.
Così, separai il frutto dal ramo
e ne mangiai per farne mio il nome.
Fu allora, notai l’incanto,
la mia nudità di figlio.
S’insinuò nell’ombra.
Seguimi – disse –
Un paradiso non ha memoria.
Ebbe inizio strisciando la storia.

*

Pelle

Sette strati di terra
e poi lamiere, plastica, cavi,
silicio, cemento, stracci
e fibra d’occhi
per seppellire l’idea
di un io separato da te.
Quattro veli soltanto, per farla sanguinare.
A succhiarmi l’indice ne senti l’amaro
tutta questa nicotina, del resto…
Ti parlo da qui, da un corpo solo
viaggiatore di treno tra altri, soli
ciascuno connesso, ciascuno
perno di un universo altrove
ma d’improvviso mi prende
il desiderio di toccarti, pelle.
Forse vorresti lasciarmi
annusare le stanze del cuore
le nostre piccole impronte, le vedi?
Si propagano con l’accordo di un brivido
al tocco che ci impollina.
Avevamo sonagli per sentirlo arrivare
il diluvio
di quando sfiorandoci
lasciavamo nell’aria di quel tempo immobile
ancora umide, ancora elettriche
tracce di verità.

possederci, Amore
è l’esserci terra
nidiare l’impeto del fiore
sei una foglia che danza
in rivoli d’acqua m’invochi
mi canti
tuo dio delle correnti

*

L’infinito

s’è fatto il nido nella stanza
di un albergo a ore
l’infinito
da qualche parte
fra i tuoi passi e il petto
fra le parole e le mani
è questo il luogo della danza
come le foglie turbinano al vento
come noi due fra le lenzuola
lo stesso moto dei pianeti
si fa dimora nei tuoi occhi
irradia dal tuo corpo (s)finito
ogni volta che apri al nuovo giorno
l’infinito


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