Lo scheletro di un bambino ritrovato ad Hambleden
(Foto: Englis Eritage)
Le bambine, in particolare, si è sempre creduto che fossero più soggette ad essere vittime di infanticidio rispetto ai maschi, anche se in tutte le civiltà si preferiva uccidere i figli maschi, come ha riferito il ricercatore Simon Mays, biologo scheletrico dell'English Eritage, organizzazione governativa che si incarica di tutelare i siti di importanza storico-archeologica.
Mays ed i suoi collaboratori hanno analizzato con tecniche all'avanguardia il Dna estratto da resti ossei di bambini vissuti in epoca romana nei pressi di Hambleden, in Inghilterra, in un sito chiamato Yewden Villa. Il sito è stato scavato nel 1912 e vi sono stati recuperati resti ossei risalenti a 1800 anni fa. All'inizio si pensava che i resti di ossa infantili fossero andate perdute, ma di recente, ad un secolo di distanza dal primo scavo archeologico, l'archeologo Jill Eyers è riuscito a ritrovare le ossa in alcune piccole scatole custodite nell'archivio del sito archeologico.
Nel 2011 Mays ed Eyers hanno pubblicato uno studio nel quale si afferma che i resti infantili ritrovati appartengono a bambini vittime di infanticidio. L'affermazione si basa sul fatto che le misurazioni delle ossa lunghe delle braccia e delle gambe portano a pensare che tutti i bambini sono morti alla stessa età, più o meno al momento della nascita.
Dal momento che le ossa infantili ritrovate sono numerose, gli archeologi hanno ipotizzato che il sito doveva ospitare anche un bordello e che i resti ritrovati appartenevano ai figli delle prostitute che vi lavoravano. Nel nuovo studio, però, i ricercatori hanno cercato di approfondire le motivazioni che hanno portato all'uccisione dei neonati in questa comunità romana d'Inghilterra. Testi romani antichi riferiscono che l'infanticidio era una pratica accettata nella società romana, era considerata una sorta di contraccezione in un'epoca in cui i contraccettivi non avevano l'efficacia degli attuali mezzi di prevenzione delle nascite. Il fatto che ad essere soppressi erano, di solito, i figli maschi, indica che i Romani praticavano una sorta di "infanticidio selettivo", in cui l'elemento discriminante era il sesso.
Il sesso di un bambino molto piccolo è difficile da stabilire, soprattutto avendo a disposizione solo delle ossa. Le differenze di genere sessuale emergono solamente con la pubertà. Questo è il motivo per cui i ricercatori sono ricorsi all'analisi del Dna, testando 33 dei 35 resti più completi. Dal momento che il Dna non si conserva bene, è stato possibile testare e studiare la sequenza solo di 12 dei resti su 33. Di questi resti, sette appartenevano a bambine e cinque a bambini.
Proprio l'analisi di questi resti hanno portato gli studiosi a rivedere le ipotesi comuni sull'infanticidio nel mondo romano.