Faro Toys è un’azienda italiana che distribuisce giocattoli per bambini su imitazione degli oggetti di uso quotidiano degli adulti. L’azienda esiste dal 1945, quindi è abbastanza storica almeno quanto le più conosciute Giochi Preziosi&co.
Particolare dell’azienda è che non si è mai evoluta dalla data in cui è stata fondata (1945).
Già l’immagine di apertura in cima alla pagina descrive bene la segregazione di genere attuata nella scelta dei giocattoli in base al genere dei bimbi. Insomma, le femmine dovrebbero desiderare pentoline, ferri da stiro e quant’altro per cucinare (ovviamente tutto in rosa per fare in modo che il destinatario non si confonda), mentre il bambino desidera utensili per fare il piccolo meccanico o falegname.
Una caratteristica molto comune nei prodotti per l’infanzia è anche la “razzializzazione“, ossia puntare per un target di riferimento che è bianco e molto spesso anche biondo. Questo modello si ripercuote anche nella fabbricazione dei bambolotti e delle bambole (Barbie e simili). Emerge quindi, un’altra caratteristica che va ad aggiungersi alla sessualizzazione dei minori, fortemente utilizzata nelle strategie di mercato.
Ho dato un’occhiata al catalogo della linea giocattoli “Faro Toys” che si caratterizza per la riproduzione in giocattolo di oggetti di marca di uso quotidiano come mocio vileda, cucine, macchine da caffé eccetera.
Già dalla copertina del nuovo catalogo del 2013 si annuncia una montagna di stereotipi. Le bambine alle prese con i fornelli, mentre i maschietti ai lavori manuali come meccanici e al massimo sorseggiano un caffè durante la pausa. La copertina è realizzata un pò in stile Andy Warhol con la dicitura “italian toys” come se ci fosse da esserne fieri.
Insomma, la copertina è tutto un programma su che cosa l’azienda made in Italy propone ai bambini italiani. Scelte imposte in base al genere di appartenenza.
Scorrendo il catalogo abbiamo modo di leggere le informazioni sui prodotti proposti dall’azienda, introdotti come “educativi”. L’azienda promette ai bambini che il gioco li stimolerà ad immaginare che sono grandi. Tutti i bambini sognano, almeno una volta nella loro vita, di crescere, ma non è questo il punto. Il punto è che l’azienda impone loro un modo di essere grandi molto scorretto, proponendo loro la crescita in base a norme dettate dai desideri e dalle aspettative che i grandi e i Grandi ( le aziende) hanno sui bambini.Potrebbe esserci una strategia occulta in questa manovra. I bambini di oggi saranno i futuri consumatori del domani e se un’azienda di giocattoli si presta volentieri a far conoscere ai piccoli i loghi più famosi che acquistano gli adulti quando gli serve un’aspirapolvere, una macchina per il caffè, una scopa, questi impareranno a memorizzarli bene per poi desiderarli quando saranno adulti.
Inoltre attraverso i piccoli, anche i genitori sono indirizzati al consumo di quei prodotti, in quanto sarà il bambino ad indicare al genitori di acquistarli perché sono come i suoi giocattoli.
Ma la parte più agghiacciante è l’imposizione di uno standard di genere che limita la capacità della bambina di chiedersi come mai lei non può desiderare una macchinina o una cassetta per gli attrezzi. Domande del genere sono liquidate dai baloon posti sopra i bambini. Le bambine sono accompagnate dal fumetto che farà affermare loro che “la cucina è come quella della mamma” (come nel vecchio catalogo) e giacché in Italia sono sopratutto le madri a fare le faccende domestiche, da loro ci si aspetta che imitino la mamma, senza chiedersi se questi compiti possono essere equamente condivisi dai maschietti, che di fatto in Italia avviene in poche famiglie per ragioni culturali.
Sono proprio i giocattoli a rafforzare gli stereotipi e indurre i bambini ad accettarli passivamente come se ci fossero cose da femmina e cose da maschio. Se le aziende cambiassero strategia le famiglie italiane sarebbero in linea con quelle del resto d’Europa quanto a parità della gestione domestica, dal momento che altrove si è ormai da tempo avviata una discussione (perfino da parte del governo) sull’influenza che i giocattoli sessisti esercitano sulla cultura di un paese.
Ma andiamo al catalogo (QUI). L’unica cosa che ho apprezzato del catalogo è la presenza di un bambino accompagnato al mocho vileda:
Già questo poteva essere un buon punto di partenza per sfatare gli stereotipi che tagliano gli uomini fuori dalle mansioni domestiche ma di fatto è solo un esempio perché il catalogo non sarà così roseo (e non intendo di colore perché sarà molto rosa).
Fedelmente agli stereotipi di genere, le bambine devono curare il loro aspetto e sfornare manicaretti. Per loro un phon tutto rosa (non si sa mai che venga in mente di comprarlo ad un maschietto) e un forno a microonde perché con tutto il tempo impiegato a farsi bella è molto utile per fare in fretta a cucinare prima che il maritino torni a casa. Perchè, femmina, devi cucinare ma anche farti trovare bella!. E per la bambina c’è anche il set della brava stirella/lavanderina (pagina 11).
Se anche i maschietti amano la cucina, per loro si propone qualcosa di simile ma non sarà mica nell’ambiente domestico, ma in un ristorante italiano. Perchè i maschietti devono giocare a fare gli chef ed imparare un mestiere, le femmine possono anche lavorare ma per loro è richiesto che sappiano cucinare da mogli (da pagina 12 a 20).
Non manca l’angolo rosa con i prodotti Barbie per la cura della casa e della bellezza dove le bambine sono sessualizzate in modo estremo e quello delle principesse, ai quali è dedicato un ampio spazio con cucine, prodotti di bellezza, per la casa e tanto altro “da femmina” rigorosamente in rosa e accompagnato da bambine in minigonna (da pagina 30 a 58).
Dopo la “serie rosa” ci sono varie macchinette del caffè unisex ma la particolarità sessista non sfugge all’occhio. La bambina non si versa il caffè da sola ma lo offre agli altri con aria servizievole, sottolineando il ruolo sottomesso delle donne.
Il maschietto è quello “che prende ciò che vuole” infatti il caffé se lo versa da solo.
Da notare le pose, composte per le femmine e altezzose per i maschietti. Anche questo è un modo per rappresentare gli stereotipi di genere anche nei giocattoli neutri. Ma andiamo avanti perchè il catalogo è lunghissimo quanto l’Antico Testamento.
Infatti nella serie dei Barba Papà dedicata ai più piccoli (pag 74-75, 76-77) abbiamo la sezione rosa per contrassegnare il cucinino con la Barbapapà femmina che sforna i manicaretti e il Barbapapà maschio che mangia, e la “sezione azzurra” con gli attrezzi di lavoro e un cartello che segnala: “vietato l’ingresso ai non addetti” di color rosa, una chiara allusione sessista per indicare che il giocattolo è per maschietti e che le donne non devono mettere becco negli afffari dei maschietti. Insomma “donne andate in cucina!”
E per non finire c’è la linea “Hello Kitty” che propone una sessualizzazione dei lavori considerati maschili, che con un tocco di rosa diventano femminili (pag 78-79) e poi una vasta schiera di bambolotti e cianfrusaglie per la cura dei bimbi e della casa.
Già un modo per indirizzare i bambini verso compiti differenti e per avvicinare le bambine alla cura della casa, mentre i maschietti devono lavorare. Ecco che da pagina 92 si ripropongono gli stessi cliché.
Oppure giocare con divertentissime piste per macchinine!
Siamo sicuri che i bambini scelgono i loro giocattoli in base al loro genere di appartenenza o in base al colore? Sulla presunzione di cosa? Perchè creare mini-adulti incapaci di intendere e volere?
Perché le aziende italiane non si modernizzano?
qui il catalogo