Infelicità e felicità del sapiente

Creato il 02 maggio 2012 da Cultura Salentina

di Leandro Ghinelli

Il sapere da sapere è infinito. La conoscenza possibile anche per un Pico della Mirandola è limitato. Di conseguenza i dotti si considerano dei dotti ignoranti e preferirebbero essere del tutto ignoranti per essere più felici. I capitoli XXXV – XXXVI – XXXVII dell’ “Elogio della Stoltezza” di Erasmo da Rotterdam, sono proprio intitolati ‘Stolti, fatui, bietoloni, buffoni sono molto più felici dei sapienti’.

Nello stesso “Elogio”, il capitolo XXXVII, sembra un ritratto ante litteram di Giacomo Leopardi:

… per tornare alla felicità degli stolti, dopo una vita passata in piena giocondità, senza alcun timore o coscienza della morte essi emigrano diritti nei Campi Elisi, dove diletteranno con i loro scherzi le anime pie ed oziose. Orbene, paragoniamo la sorte di un qualsivoglia sapiente con quella di un simile stolto! Immaginatevi per contrasto un modello di sapienza un uomo che abbia consumato tutta l’infanzia e l’adolescenza a studiare ed apprender discipline, che abbia perduto la parte più dolce della vita in assidue veglie, cure e fatiche, che in tutto il resto dei suoi giorni non abbia gustato neppure un tantino di voluttà, nemico e duro a se stesso, modesto ed inviso agli altri, pallido, emaciato, infermiccio, cisposo, vecchio e canuto anzi tempo ed anzi tempo in fuga dalla vita. Veramente che importa quando muoia un uomo simile, che non ha mai vissuto? Eccovi il magnifico ritratto del sapiente!”.

Tuttavia, guardando attentamente il rovescio della medaglia, oserei aggiungere al contrario: Beata l’infelicità del sapiente! di quell’essere cioè per inseguire saggezza e valore col sapere è assalito in questa vita dalla tribolazione di toccare amaramente i suoi limiti terreni. Beata l’infelicità del sapiente, ripeto, perché ha il dono di poter arricchire di qualità rare il suo spirito in questa lacrimarum valle e ne godrà poi nella vita futura eterna, quando sarà destinata a più luminosa felicità.

Non basta quindi compiangere la misera sorte di chi consuma i suoi giorni con la sete di sapere senza alcun frutto in questa vita, ma considerare l’arricchimento spirituale perpetuo di chi ha coltivato la conoscenza, promessa sicura di ulteriore luce intellettuale.

Innamorarsi del sapere senza la pretesa di valicarne i confini come un Ulisse dantesco, è sempre, malgrado i dolorosi costi di delusioni, la forma più pura, alta e fruttuosa dell’amore che s’incontra essenzialmente col fuoco vitale del Dio Amore e Conoscenza.


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