Ogni anno, 48 miliardi di animali nascono, vivono e muoiono in un inferno che neppure il peggiore dei gironi danteschi avrebbe saputo immaginare. Molti campi di concentramento, al confronto, erano amene località di villeggiatura.
Gli allevamenti industriali sono peggiori della peggiore fantasia di un fervido scrittore di horror, sono luoghi nei quali miliardi di creature viventi, in grado di provare emozioni e di percepire il dolore, conducono una vita di atroci sofferenze, dalla nascita alla morte. Molti di loro non vedono mai la luce del sole, vivono in strette gabbie nelle quali non possono neppure voltarsi, le loro dimensioni sono artificialmente gonfiate al punto che la loro struttura ossea cede a fronte di un peso non previsto, e molto presto smettono di reggersi sulle zampe. Le femmine del maiale, anche se gravide, passano tutta la gestazione in piedi senza potersi muovere. Quelli che vivono ammassati, e sono 9 milioni ogni anno, viceversa sono così pressati l’uno all’altro che diventano aggressivi e si mangiano la coda. Per diminuire le infezioni, la coda viene loro tagliata senza mezze misure. Le galline sono costrette in spazi talmente angusti che non possono neppure aprire le ali. Molte di loro muoiono perché, senza spazio per muoversi, non riescono a raggiungere il cibo né l’acqua. Le altre, esasperate, si mordono continuamente, così i loro becchi vengono amputati con una forbice. I polli che sopravvivono vengono appesi a ganci di metallo e una macchina li decapita, li spenna, li smembra e li inscatola. Sono immagini che non ho voluto inserire nel video, ma vi garantisco che non riuscireste più neppure a guardare una confezione di cosce di pollo al supermercato.
Gli allevamenti industriali prosciugano le risorse. Ci vogliono 20Kg di grano per produrre 1 Kg di carne. Sono necessari 2 mila 400 litri di acqua per fare 1 hamburger.
Gli allevamenti industriali danneggiano la salute. Un pollo che esce da quell’inferno riesce nell’improbabile impresa di avere più grassi che proteine. Ne ha almeno il 25% in più rispetto al suo omologo ruspante. I danni causati dall’impatto dell’obesità sulla qualità della vita e sui conti della sanità pubblica sono incalcolabili. Da quelle nauseabonde bolge di carne, urina, feci e sangue escono batteri resistenti agli antibiotici, come una particolare specie di stafilococco che si diffonde per contagio diretto e causa disgustose pustole rosse sulla pelle: l’infezione si chiama MIRSA (MRSA, Methicillin-resistant staphylococcus aureus). Ma escono anche malattie nuove che oltrepassano la barriera tra le specie e arrivano all’uomo, come il Morbo della Mucca Pazza (BSE - Bovine spongiform encephalopathy) o la recente contagiosissima e mortale influenza aviaria.
Un animale cresciuto in una fattoria, all’aperto, libero di scorrazzare alla luce del sole o sotto la pioggia è un animale innanzitutto più felice, ma è anche un animale più sano, che produce cibo di elevata qualità a fronte di un sovrapprezzo irrisorio. Gli allevamenti industriali producono ogni anno cibo per 10 miliardi di persone, che consumiamo solo noi, in meno di 2 miliardi. Gli esperti mondiali concordano sul fatto che è possibile produrre cibo in abbondanza, di qualità e per tutti senza allevamenti industriali, nel pieno rispetto della vita, della dignità e del benessere degli animali.
Ci sono già 68 milioni di animali che vivono una vita dignitosa, certificata dall’RSPCA, forse anche felice. Porre un fine a questo inferno dipende solo da noi. Scegliamo cibo prodotto nelle fattorie, privilegiamo gli imprenditori che compiono scelte nella direzione della qualità della vita e del benessere degli animali.
Facciamolo da domani, perché non abbiamo alcun diritto di trattare una creatura vivente come se fosse un oggetto.
Intervista a Philip Lymbery - Compassion in World Farming
"Compassion in World Farming" è stata fondata da un contadino che produceva latticini di nome Peter Roberts, nel 1967, che iniziò a preoccuparsi molto per la nascita dei primi allevamenti industriali che tenevano gli animali ingabbiati, bloccati, costretti, in condizioni che si possono solo definire come privazione totale. Questo lo preoccupò, e da allora preoccupò molte persone. La missione di Compassion oggi, come era allora, è di vedere la fine degli allevamenti industriali e di vedere finalmente gli animali trattati con decenza e rispetto.
Una delle grosse sfide per Compassion, all'inizio, era che le attività degli allevamenti avevano luogo, e ancora è così, al riparo da occhi indiscreti. Così, riuscire a mostrare alla gente cosa stava succedente, il modo in cui gli animali venivano trattati, il modo in cui erano tenuti in vita e cosa comportava per il cibo e per l'ambiente era una grossa sfida. Ma è qualcosa che abbiamo superato bene. Un'altra sfida era fare in modo che la gente, a quei tempi - negli anni sessanta - e le organizzazioni prendessero la vita negli allevamenti industriali come un serio problema che riguarda il benessere degli animali. Negli anni 60 il benessere degli animali si focalizzava più che altro sui cani, sui gatti e sui cavalli. Per fortuna adesso il benessere degli animali delle fattorie
è visto come un serio motivo di preoccupazione da molte organizzazioni di tutte le dimensioni in tutto il mondo.
Un allevamento industriale, essenzialmente, produce animali su scala industriale. E' un allevamento di massa. E' un posto dove si tengono gli animali strettamente confinati, spesso in gabbie dove intere batterie di galline, per esempio, non possono neppure stendere le ali, o dove i maiali non riescono a voltarsi. Oppure si tengono un numero elevatissimo di animali in tetri capannoni senza finestre. Significa anche far crescere gli animali, o farli produrre latte - per esempio nell'industria del latte –, farli crescere o produrre oltre i loro limiti naturali: mediante la manipolazione delle razze, oppure con tecniche di alimentazione che li portano oltre i loro limiti fisiologici. E come risultato, troppo spesso gli animali cedono.
"Compassion in World Farming" è molto orgogliosa dei suoi risultati. Certo, mai soddisfatta, ma molto orgogliosa. Alcuni dei risultati sulla cui attuazione abbiamo influito includono il divieto dell'Europa su alcune delle peggiori pratiche degli allevamenti industriali, come tenere i vitelli in minuscole vasche dove non potevano neppure girarsi, o tenere le femmine gravide del maiale ancora una volta in strette gabbie dove per mesi, lungo tutta la gravidanza, non potevano muoversi, …ma il divieto della Comunità Europea sulle gabbie austere di contenimento dei polli è forse il più emblematico, il più conosciuto e il più disprezzato
di tutti i sistemi usati dagli allevamenti industriali. Direi che questi sono i risultati più grossi di Compassion. Ma anche l'istituzionalizzazione delle preoccupazioni sul benessere degli animali, e l'accettazione del fatto che provano dolore e soffrono. Abbiamo convinto l'Unione Europea, per esempio, a riconoscere legalmente agli animali lo status di creature senzienti, a riconoscere che gli animali hanno diritto al benessere, che provano dolore e soffrono, e che tutte queste cose devono essere tenute in considerazione quando si formulano le leggi.
Tenere gli animali in condizioni dignitose, in condizioni di benessere maggiore, migliora anche la qualità del cibo. La gente, ad esempio, riconosce ora le uova marchiate "free eggs" non solo come uova provenienti da galline che hanno potuto avere accesso all'esterno e quindi non sono state tenute in gabbia, ma percepiscono anche un indicatore di qualità da quel marchio. Io credo che tenere gli animali in condizioni di benessere maggiore possa migliorare la qualità del cibo.
Uno degli esempi migliori che il cibo degli allevamenti industriali può spesso essere più economico e meno triste è il caso del pollo da grigliare, il modo pesantemente industrializzato con il quale produciamo carne di pollo. Quando è stato lanciato sul mercato, negli anni 70, come un prodotto salutare, è stato lanciato sulla base del fatto che aveva pochi grassi. Bene, a dire il vero se prelevi lo stesso pollo prodotto industrialmente dagli scaffali oggi come oggi ha circa tre volte il contenuto in grassi che aveva quando fu lanciato all'inizio. Il suo contenuto proteico, invece, è considerevolmente inferiore. In pratica, il pollo medio prodotto in un allevamento industriale, che è dappertutto sugli scaffali dei nostri supermercati, oggigiorno è molto più ricco di grassi che non di proteine. Se invece compri un prodotto organico, cresciuto in condizioni di benessere maggiore, puoi constatare che ha il 25% in meno di grassi rispetto al suo equivalente cresciuto in un allevamento industriale. Insomma, molto spesso il benessere degli animali fa rima da vicino con una maggiore qualità del cibo. Credo che la questione degli allevamenti industriali sia un problema del quale tutti noi dovremmo preoccuparci. Un allevamento industriale produce cibo che a una prima occhiata sembra economico, ma quando inizi a considerare gli svantaggi per la salute pubblica, l'impatto sulla salute associato agli allevamenti industriali, l'impatto ambientale del vasto sfruttamento del grano associato con lo spreco delle risorse vitali di cibo che arriva dagli allevamenti industriali... per non menzionare l'immensa, inimmaginabile entità della crudeltà, allora ti rendi conto che il costo di quel pezzo di carne, apparentemente economico, è in realtà altissimo.
Un altro punto è che alla fine hai quello per cui stai pagando. Se compri carne a poco prezzo, prodotta in un allevamento industriale, allora quello cui stai rinunciando è la qualità del tuo cibo. Io credo che la gente sarebbe sorpresa se andasse in un supermercato e comparasse un prodotto industriale con il suo equivalente a benessere aggiunto: si accorgerebbe che in realtà i due non differiscono così tanto in termini di prezzo. La scelta di un prodotto da allevamento industriale non è quella giusta se si vuole un migliore, più salutare stile di vita per le persone di questo pianeta.
Credo che ormai sia chiaro che un allevamento industriale mette troppi animali in un posto troppo stretto e si comporta come un terreno di coltura, una pentola a pressione per le malattie che avrà un impatto sulla salute pubblica. Risparmiare sul modo in cui trattiamo il bestiame
ha già prodotto minacce gravi come il Morbo della Mucca Pazza - BSE - o l'altamente infettiva influenza aviaria, per esempio, che hanno scavalcato la barriera delle specie e hanno minacciato la vita delle persone. Questi sono stati tutti effetti dell'intensificazione, e possiamo quindi vedere come gli allevamenti industriali minacciano la vita della gente. Abbiamo già parlato, per esempio, del pollo di allevamento industriale ad altissimo contenuto di grassi, che abbassa la qualità del cibo nei nostri piatti.
La nostra visione prevede un sistema di produzione del cibo umano e sostenibile, che tenga in considerazione il benessere degli animali, e assicuri che ognuno possa essere nutrito bene, e con gentilezza, non solo in questo paese ma in tutto il mondo. Gli allevamenti industriali non possono ottenere questi obiettivi, e non lo fanno. Gli allevamenti industriali usano un grande ammontare di risorse, a un grande costo, sprecano moltissimo cibo, e in realtà aumentano il costo del cibo in tutto il mondo a tutto svantaggio delle persone più povere nei paesi in via di sviluppo. Insomma, non sono davvero la soluzione. Quello che dobbiamo fare è lasciarci alle spalle gli allevamenti industriali che hanno hanno alimentato l'esplosione delle borse, che hanno contribuito enormemente all'effetto serra, e dobbiamo andare verso un posto più umano e sostenibile. Abbiamo approfondito la questione, abbiamo fatto ricerca e sì, i migliori esperti affermano che possiamo nutrire il mondo in modo equo e appropriatamente senza allevamenti industriali. La nostra visione contempla un mondo dove gli animali da fattoria sono trattati con compassione e rispetto, e vogliamo vedere la fine degli allevamenti industriali di tutto il mondo. Vogliamo vederlo durante la nostra vita, vogliamo vederlo entro il 2050 al massimo, un mondo senza allevamenti industriali in favore di tecniche di allevamento e di produzione di cibo più umane e sostenibili.
Fonte articolo