Ho trovato quest’ultimo libro di Dan Brown interessante e sotto diversi aspetti degno di nota.
Il genere devo dire non è tra quelli che mi appassionano maggiormente, non più oramai. Quindici o venti anni fa le cose sarebbero state differenti e l’intrigo, il ritmo e i repentini colpi di scena mi avrebbero acceso molto più di oggi che tendo a non sorvolare su alcuni aspetti seppur probabilmente non fondamentali.
Inferno si inserisce con decisione tra le opere dello scrittore americano e a mio parere è migliore del suo lavoro precedente Il simbolo perduto.
La parte che fa da contorno a tutta la vicenda, ossia le lezioni di storia dell’arte che Robert Langdon ed alcuni degli altri protagonisti tengono al lettore, è senza dubbio quella da me preferita: fermarsi ad ogni accenno artistico-letterario per individuare un luogo o un’immagine su internet, di sicuro rallenta la lettura, ma certamente fornisce nozioni che rendono la vicenda perfino più appassionante di quanto non lo fosse già prima.
Oltretutto, leggendo alcuni commenti di altri lettori, pare che la ricerca intrapresa dall’autore abbia dato frutti decisamente migliori rispetto ad altri libri precedenti che contenevano richiami forse meno precisi di questo.
In ogni caso lo schema è quello che ci si poteva attendere fin dall’inizio e che segue la falsariga dei lavori precedenti, vale a dire mistero, inseguimenti, enigmi, associazioni segrete, buoni e cattivi che non hanno una collocazione stabile all’interno del racconto, colpi di scena e salvataggi dell’ultimo secondo.
John Grisham afferma di non fare letteratura, bensì intrattenimento, togliendosi dal dibattito fin troppo serio sul ruolo della letteratura americana moderna.
Certamente autori come Steinbeck, Faulkner, Kerouac, ma anche DeLillo, Roth e Foster Wallace tanto per citarne alcuni, fanno un lavoro diverso dagli scrittori tipo Dan Brown, John Grisham e anche Stephen King se vogliamo dirla tutta.
Non ci sono problemi e non è necessario fare classifiche o distinzioni: è importante però definire almeno le macro categorie di appartenenza e Dan Brown scrive libri di intrattenimento molto belli.
Quest’ultimo poi, a differenza sempre di quanto si era trovato ne Il simbolo perduto, sembra anche più lineare, più approfondito, meno tirato via, più realistico diciamo.
Se nel passato avevamo avuto a che fare con dubbi personaggi i quali, freschi di mano amputate, nel giro di ventiquattro o quarantotto ore riprendevano a correre e saltare come e più di prima, questa volta le cose sono più serene e veritiere.
In realtà la primissima impressione era di segno piuttosto contrario come illustrano alcune situazioni: l’intervento di soccorso su ferite da arma da fuoco rende obbligatorio la segnalazione alle forze dell’ordine, mentre qui il buon professore non solo viene ricoverato senza sorveglianza, ma è proprio l’assenza di sorveglianza che consente alla donna killer di entrare nell’ospedale e colpire indisturbata.
Il classico del killer professionista che si lascia seminare dal ferito, oltretutto sedato, che fugge in camice ospedaliero mentre il famigerato killer professionista perde il controllo sparando a destra e a manca come una recluta presa dal panico.
La squadra specializzata nelle emergenze, che interviene solo quando il killer professionista ha fallito la missione, che colleziona a sua volta un fallimento dopo l’altro facendosi fregare ogni volta subito dopo che il caposquadra annuncia al superiore l’imminente soluzione della questione, ecc. ecc.
Il libro si presenta al lettore curioso sostanzialmente in questo modo.
Può essere che alcune situazioni non vengano considerate importanti dall’autore perché il succo della vicenda sta in altro oppure può essere che, visto il successo tributato dal pubblico, non siano importanti in senso assoluto.
Comunque stiano le cose, nei libri precedenti e specie nell’ultimo, di queste situazioni non proprio realistiche ne erano presenti diverse.
Invece devo dire che questa volta c’è una certa differenza: nella seconda parte del libro emergono aspetti che riescono a sbrogliare quella matassa di incoerenze iniziali e a rendere il tutto più credibile in senso assoluto, riportando l’attenzione del lettore più esigente sulla vicenda e sull’enigma di fondo.
Dal punto di vista dell’azione non si sta mai fermi un solo secondo; l’intero romanzo è pieno di fughe, inseguimenti e spionaggi vari che assieme alla caratteristica scrittura con capitoli piuttosto brevi, garantiscono un bel ritmo di lettura.
Solamente verso la fine il livello si abbassa molto, fin troppo direi; un finale a mio parere non fenomenale che trascina con sé i resto del romanzo portandolo ad un livello comunque accettabile, ma non eccelso.
Ovviamente rimanendo nell’ambito del genere trattato.
Tempo di lettura: 12h 14m