Influencer marketing è probabilmente una delle buzzword del 2015. Se in realtà si tratta di una riedizione di quello che da sempre le [digital] PR dovrebbero fare, nei fatti si sta trasformando sempre più in un paid media con tanto di tariffario più o meno ufficiale.
Al di là delle valutazioni morali su questa diffusa pratica, che sono soggettive per definizione, personalmente credo che pagare gli influencer sia come vivere in affitto, una volta che si cessa di pagare si viene sfrattati, mentre costruire con loro una relazione di reciproco interesse a prescindere dagli aspetti monetari sia invece come acquistare una casa: una volta estinto il mutuo nessuno potrà più cacciarci. Spero che la metafora renda l’idea del mio pensiero sulla questione.
Al riguardo, The Fool ha pubblicato un’analisi su alcuni dei principali influencer nell’area media & tech, incluso il sottoscritto, del nostro Paese. Non amo particolarmente le classifiche già dai tempi di quelle primordiali sui blog ma quella realizzata dalla società di analisi della reputazione e degli asset digitali presenta elementi d’interesse.
Infatti oltre a monitorare aspetti prettamente quantitativi quali il numero di follower [che solitamente è il parametro più utilizzato dalle agenzie al mercato del pesce, al mercato degli influencer], il numero di status [di tweet], il numero di favoriti e di liste, viene fornito per ciascuna persona il Digital Advertising Value Equivalent: una precisa valorizzazione del costo che l’azienda avrebbe dovuto sostenere per ottenere la medesima copertura con il “pay per post”.
Dall’analisi emerge con chiarezza come vi sia scarsa, o nulla, correlazione tra numero di follower e influenza, e dunque valore. La conferma di come vi sia sempre una numerica ed una ponderata e del perché il vero valore risieda in quest’ultima. Come si suol dire comunemente in questi casi, sapevatelo!