L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni — AGCOM — ha diffuso i risultati dell’indagine su “Informazione e internet in Italia. Modelli di business, consumi, professioni”. Tre, in generale, i temi analizzati: professione giornalistica, caratteristiche economiche dell’offerta e peculiarità della domanda di informazione.
Dal punto di vista metodologico, l’Autorità, data la complessità dell’analisi, ha proceduto ad analizzare una molteplicità di fonti ai fini dell’analisi del settore informativo. In primo luogo, l’Indagine esamina il mondo giornalistico attraverso una specifica rilevazione su un campione di oltre 2.300 professionisti dell’informazione. In questo quadro, l’Autorità ha anche proceduto alla raccolta, all’elaborazione, e alla presentazione dei dati resi disponibili dalle più importanti e complete fonti sulla professione giornalistica [OdG, Inpgi e Fnsi]. In secondo luogo, per procedere all’esame dell’offerta editoriale, sono state formulate specifiche richieste di informazioni, sotto il profilo sia redazionale sia economico, ad un campione di circa 400 editori, nazionali e locali, rappresentativo dell’universo di tutti i soggetti che producono informazione in Italia. Per analizzare le abitudini di consumo informativo da parte dei cittadini italiani, ci si è avvalsi dei dati forniti dal Reuters Institute for the Study of Journalism della Oxford University. Un paragrafo metodologico, posto all’inizio di ogni capitolo, chiarisce in dettaglio le fonti e i dati utilizzati per l’analisi dei relativi ambiti economici di riferimento.
Il rapporto, ancora una volta, merita assolutamente una attenta lettura integrale al di là della mia personale sintesi ed interpretazione.
La possibilità di valutare il bene solo dopo averlo “consumato” include l’informazione e i prodotti mediatici sicuramente anche tra i beni esperienza, introducendo un ulteriore aspetto di problematicità, ossia quello delle asimmetrie informative tra il consumatore e l’editore. In tal senso, la qualità dell’informazione è spesso soggetta a fallimenti di mercato perché non può essere facilmente derivata, se non dopo ripetuti atti di consumo, dall’utente finale. In questo contesto, il concetto di reputazione, e quindi la forza dei marchi, assume, specie nell’attuale momento, una rilevanza centrale nel sistema informativo.
Se, come noto, l’online in tutte le sue declinazioni [testate, social network, blog, motori di ricerca], per le sue caratteristiche di immediatezza, copertura in tempo reale della notizia e gratuità, si sta affermando sia come mezzo di informazione al pubblico, sia come fonte di informazione per gli altri media, un aspetto potenzialmente critico, come dimostra l’incremento, almeno in termini di attenzione goduta e diffusione, delle bufale, è rappresentato dal fatto che questo tipo di informazione, anche per motivi finanziari, è generalmente caratterizzato da un maggior ricorso a fonti derivate, soprattutto di tipo aziendale ed istituzionale [comunicati stampa, social network, etc.], e da un minor ricorso a fonti dirette sul campo. Il pluralismo dell’offerta informativa richiede non solo molteplicità di operatori nella fase di raccolta delle fonti e produzione delle notizie, ma anche indipendenza nella loro elaborazione
e autonomia editoriale nella loro diffusione.
In quattordici anni è notevolmente cambiato, inoltre, l’assorbimento dei lavoratori da parte delle imprese editoriali operanti nel Paese. Il peso percentuale dei quotidiani è, infatti, drammaticamente sceso dal 50% del totale rapporti di lavoro nel 1990 al 34,4% del 2014, a fronte di una crescita del ruolo delle televisioni nazionali [oggi al 5,7%] e locali [11,9%] ma soprattutto degli uffici stampa e comunicazione aziendali [8,4%] e pubblici [7,6%, appena all’1% nel 1990].
Internet è una miniera di informazioni che rende ancora più imprescindibile, per i giornalisti, stabilire un rapporto di fiducia con il pubblico, vista l’ampia possibilità a disposizione dei lettori di poter cambiare in breve tempo una fonte informativa. Tale rapporto fiduciario si costruisce prevalentemente tramite la trasparenza; i lettori, cioè, sono interessati a conoscere come si arriva alla redazione di un “storia”, quali sono le fonti, e a ricevere spiegazioni nel caso di errori. Questa metamorfosi, rispetto ad un modello tradizionale di tipo gerarchico in cui la notizia calava dall’alto sul lettore, necessita anche di maggiori competenze specifiche visto che in alcuni casi sono proprio i lettori ad avere maggiori informazioni su di una specifica notizia o argomento.
A parte lo “Sviluppo di Web content”, attività svolta da circa il 28% del campione dei giornalisti rispondenti al questionario online ed in parte collegata alle versioni online delle testate tradizionali, le altre attività tipiche del Web, come “Infografica/Data Journalism”, “Social media management” e “Blogger”, sono poco diffuse. Tra le altre cose, tali attività sembrano essere una prerogativa dei giornalisti giovani visto che mediamente circa l’80% ha un’età inferiore ai 40 anni.
Per migliorare la propria profittabilità, più che sul fronte dei ricavi, gli editori hanno proceduto in questi anni su quello dei costi dell’informazione, cercando margini di efficientamento. Ne è conseguita una contrazione degli investimenti nell’informazione, in tutte le sue componenti.
Oltre all’andamento decrescente della struttura dei ricavi di tutti i gruppi [tranne Sky], un’analisi disaggregata, a livello di singoli soggetti, evidenzia come i diversi gruppi presentino una composizione dei ricavi assai differenziata. Alcuni sono più legati alla componente pubblicitaria, altri dipendono decisamente dai ricavi dagli utenti, mentre i gruppi maggiormente legati alla stampa quotidiana vedono una struttura dei ricavi più bilanciata; discorso a parte è quello di RAI i cui ricavi derivano principalmente dal canone radiotelevisivo pagato dai contribuenti.
La versione online del prodotto cartaceo, per l’85% delle testate, è considerata parte integrante dell’offerta editoriale del quotidiano ma, di regola, carta e web hanno peculiarità distinte. Il quotidiano cartaceo assolve sempre meno alla funzione di aggiornamento che lo contraddistingueva, rappresentando piuttosto una fonte informativa di approfondimento. Se con riferimento al quotidiano cartaceo il prodotto editoriale offerto al lettore è costituito dall’intera testata, il prodotto online si identifica più che altro nel singolo articolo, presupponendo uno spacchettamento del prodotto.
Circa un terzo degli editori attivi dal lato dell’offerta di quotidiani è presente nel comparto da almeno trenta anni, mentre le società in attività da meno di dieci anni sono poco più del 20%. Insomma il nuovo non avanza o comunque avanza con grande fatica.
Esaminando nel dettaglio l’andamento dei ricavi editoriali del comparto dei quotidiani, è possibile osservare come gli stessi abbiano perso circa un terzo del loro valore negli ultimi cinque anni, passando da più di 3 miliardi di euro nel 2010 a poco più di 2 miliardi nel 2014. La progressiva crescita dei ricavi derivanti dalla componente digitale, infatti, è tuttora del tutto insufficiente a compensare la netta contrazione della componente cartacea tradizionale. Di fatto non è ancora chiaro quale sia il modello di business in grado di garantire adeguati ritorni economici. Ad oggi, in effetti, la sussistenza degli editori continua a dipendere in maniera preponderante dall’entità dei ricavi conseguiti grazie alle testate cartacee. In tal senso, la figura successiva evidenzia palesemente che l’incidenza delle entrate generate dal prodotto cartaceo è di gran lunga maggiore [pari nel 2014 ancora al 90%] rispetto al prodotto digitale, sebbene quest’ultimo abbia visto raddoppiare il suo peso negli ultimi cinque anni. L’attività tradizionale, sul mezzo cartaceo, rimane il core business di gran parte delle società editrici, le quali, al di là delle dichiarazioni d’intenti, di fatto tentano di mettere in atto strategie di difesa dei ricavi derivanti dalla carta stampata, seppure molto spesso questo avvenga in maniera scomposta e dunque poco efficace.
Gli editori online nativi digitali presentano nel complesso una struttura dei ricavi piuttosto sbilanciata sul versante pubblicitario, essendo le offerte informative a pagamento limitate per lo più alla proposizione di contenuti con un elevato livello di specializzazione in determinati settori e rivolti a nicchie specifiche di utenti molto ristrette. È questo allo stato attuale il maggior limite alla sostenibilità della maggior parte delle testate sia per quanto riguarda il presente che, ancor più, se possibile, in prospettiva.
Il confronto con la struttura dei ricavi conseguiti dagli editori tradizionali [quotidiani online] per l’attività svolta sul web, anch’essa fortemente dipendente dalla componente pubblicitaria, rivela come il valore complessivo dei ricavi degli editori digitali sia pari a meno della metà delle risorse economiche percepite dagli editori tradizionali. Questi ultimi, infatti, da un lato, in virtù delle maggiori audience raggiunte, raccolgono quote più elevate di introiti pubblicitari. Dall’altro, riescono a ricavare dalla vendita di copie digitali e di altri prodotti e servizi online 64 milioni di euro [che rappresentano il 31% dei ricavi complessivi del digitale], sia perché dispongono di un prodotto informativo digitalizzabile e quindi vendibile al pubblico, sia perché godono della reputazione e della notorietà acquisita dai propri marchi editoriali, che consente di estrarre la disponibilità a pagare di almeno una parte, seppur ristretta del loro pubblico.
Il limitato livello di affermazione del proprio marchio editoriale per gli editori nativi digitali, che rende di fatto impraticabile l’introduzione di forme di pagamento per l’accesso ai contenuti informativi presenti nei relativi siti, è testimoniato anche dai dati sul traffico dei principali siti delle testate online.
Per quanto riguarda la fruizione d’informazione e la disponibilità tendenziale a pagare il rapporto AGCOM riprende, come sopra riportato, sostanzialmente i dati del Digital News Report 2014 del Reuters Institute for the Study of Journalism.
D’interesse la sintesi della fruizione giornaliera di informazione per fasce di età e fasce orarie. La curva di domanda di informazione ha delle implicazioni notevoli: la presenza di “picchi” di domanda, infatti, può orientare gli editori nel fornire una quantità di notizie in eccesso nel tentativo di conservare la propria parte di utenti/consumatori. Ciò porta a due considerazioni di rilievo riguardanti la qualità dell’informazione, intesa sia dal punto di vista del processo produttivo, e dunque dell’organizzazione del lavoro che ne dovrebbe derivare, sia per ciò che riguarda le modalità di diffusione della notizia.
Altri aspetti specifici, al di là della sintesi attuale, saranno ripresi puntualmente nei prossimi giorni.Nel frattempo, leggetevi, e digeritevi, la ricerca integralmente. Insisto.