Le pagine giovanili di Ingeborgh Bachmann, scritte tra il settembre 1944 e i mesi successivi alla fine della seconda guerra mondiale: giustamente pubblicate da Adelphi sulla base della prima edizione tedesca, che risale al 2010, rappresentano un gustoso assaggio di quanto di grande l’autrice riuscirà a realizzare
Ingeborgh Bachmann, Diario di guerra, Adelphi
«È l’estate più bella della mia vita e, dovessi campare cent’anni, queste resteranno per me la primavera e l’estate più belle. Della pace non si avverte un gran che, dicono tutti, ma per me è pace, pace!». Così scrive nel suo diario una Bachmann diciottenne alla capitolazione del Terzo Reich. Un diario salvato dall’oblio, di stupefacente intensità, che manifesta ripugnanza etico-estetica verso il nazismo ed euforia per la sua caduta. E che racconta un grande amore, di cui ci rendono partecipi anche le lettere che al monologo della Bachmann fanno da contrappunto. A scriverle è Jack Hamesh, giovane soldato britannico ma in realtà ebreo viennese, fuggito nel 1938 in Inghilterra e ora tornato da liberatore. Lui le bacia la mano e lei, commossa, si arrampica su un melo e pensa di non lavarsela mai più. Gli incontri diventano assidui, l’amicizia impetuosa, e gli scrittori amati da entrambi – Mann, Zweig, Hofmannsthal – accendono le conversazioni. Seguiranno la lontananza, le attese, i silenzi. E le lettere appassionate e dolenti di Jack – che dall’età di diciott’anni vaga per il mondo, e solo nella divisa di un esercito straniero ha trovato un’effimera identità – a colei che lo ha lasciato andare via, che non ha voluto chiedergli di restarle accanto. Che cosa gli è rimasto del breve ritorno a casa, di quella ragazza affascinante? A noi, di certo, molto: la testimonianza – rara, lacerante e immediata – di un dialogo tra i figli delle vittime e i figli dei colpevoli: «No, con gli adulti non si può più parlare» scrive Ingeborg.
Nata a Klagenfurt in Carinzia, vi rimane fino al 1945, anno in cui inizia gli studi (dapprima filosofia e giurisprudenza, successivamente filosofia e psicologia) ad Innsbruck, che prosegue a Graz e successivamente a Vienna. Nel 1949 la rivista viennese Lynkeus pubblica alcune sue poesie. Nel 1950 si laurea con una tesi intitolata Die kritische Aufnahme der Existentialphilosophie Martin Heideggers. Tra il 1950 e il 1951 soggiorna a Parigi e Londra. Al ritorno è invitata da Hans Werner Richter, insieme a Paul Celan ed Ilse Aichinger, al 10° Congresso del Gruppo 47, che nel 1953 le assegnerà un premio per la raccolta di poesie Die gestundete Zeit. A partire da quest’anno vive per lo più in Italia, a Roma e Napoli. Nel 1956 pubblica il secondo volume di liriche, Anrufung des Großen Bären, per cui ottiene il premio letterario della città di Brema. Due anni più tardi viene trasmesso per la prima volta il radiodramma Der gute Gott von Manhattan, che le frutterà l’«Hörspielpreis der Kriegsblinden». Il discorso di ringraziamento pronunciato in quella circostanza (Die Wahreit ist dem Menschen zumutbar) è un’importante testimonianza della consapevolezza critica che la Bachmann ha del ruolo dello scrittore e dell’artista nella società contemporanea, nonché un’analisi del linguaggio che si muove nella medesima direzione dei precedenti studi su Musil e Wittgenstein. Nella stessa prospettiva devono inquadrarsi anche le lezioni che la Bachmann tiene a Francoforte, dove occupa la cattedra di Poetica, nel semestre invernale 1959/60. Nel 1961 pubblica la raccolta di racconti Das dreißigste Jahr, che ottiene numerosi premi e riconoscimenti. Dell’opera in prosa della Bachmann fanno parte anche un secondo volume di racconti (Simultan, 1972) e il romanzo Malina (1971), primo di un ciclo che avrebbe dovuto intitolarsi Todesarten. Questo progetto, di cui ci rimangono altri due frammenti (Der Fall Franza e Requiem für Fanny Goldmann) rimane incompiuto per la tragica morte della scrittrice, scomparsa il 17 ottobre 1973 a Roma in seguito ad un incendio. Amica e compagna di Hans Werner Henze, per cui ha anche scritto libretti d’opera, e di Max Frisch, vicina a Nelly Sachs, Hans Magnus Enzensberger e Witold Gombrowicz, traduttrice di Anna Achmatova e Giuseppe Ungaretti, impegnata in battaglie femministe e contro la guerra del Vietnam, collaboratrice della Televisione bavarese e della rivista «Botteghe oscure», Ingeborg Bachmann attraversa con il suo “disperato sforzo intorno all’indicibile” la seconda metà del Novecento europeo.