VESPA.
Un uomo, dotato dalla natura di un ingegno perspicacissimo e di una curiosità straordinaria, per il proprio trastullo, alleva diversi uccelli; gusta molto per il loro canto, e, con grandissima meraviglia, osserva che, con un bell’artificio, con la stessa aria con la quale respiriamo, per propria volontà, formano canti diversi, tutti soavissimi. Una notte vicino alla sua casa udì un delicato suono, immaginava che fosse altro che qualche uccelletto, si mosse per prenderlo. Invece trovò un pastorello, che soffiando in un certo certo legno forato e muovendo le dita sopra il legno, ora serrando ed ora aprendo certi fori ne traeva quelle diverse voci, simili a quelle di un uccello, ma con maniera diversissima. Stupefatto e mosso dalla sua naturale curiosità, donò al pastore un vitello per avere quello zufolo; e ritiratosi in sé stesso, e conoscendo che non s’abbatteva a passar da colui che non avrebbe mai imparato che ci erano in natura due modi da formar voci e canti soavi, volle allontanarsi da casa, stimando di poter incontrare qualche altra avventura.
Il giorno seguente, passando presso a un piccolo tugurio, sentì risonarvi dentro una simile voce; e per certificarsi se era uno zufolo oppure un merlo, entrò dentro, e trovò un fanciullo che andava con un archetto, che egli teneva nella mano destra, segando alcuni nervi tesi sopra un certo legno concavo, e con la sinistra sosteneva lo strumento e vi andava sopra muovendo le dita, e senz’altro fiato ne traeva voci diverse e molto soavi. Ora, quale fosse il suo stupore, può giudicarlo chi partecipa dell’ingegno e della curiosità che aveva colui; il quale, vedendosi sopraggiunto da due nuovi modi di formare la voce ed il canto tanto inopinati, cominciò a credere che altri ancora ve ne potessero essere in natura. Ma qual fu la sua meraviglia, quando entrando in un certo tempio si mise a guardare dietro alla porta per vedere chi aveva suonato, e si accorse che il suono era uscito dagli arpioni e dalle bandelle nell’aprire la porta?
Un’altra volta, spinto dalla curiosità, entrò in una osteria, e credendo di avere visto uno che con l’archetto toccasse leggermente le corde di un violino, vide uno che fregando il polpastrello di un dito sopra l’orlo di un bicchiere, ne cavava un soavissimo suono. Ma quando poi gli venne osservato che le vespe, le zanzare e i mosconi, non, come i suoi primi uccelli, con il respirare formano centinaia [281] di voci interrotte, ma con il velocissimo battere di ali rendevano un suono perpetuo, quanto crebbe in esso lo stupore, tanto gli diminuì l’opinione che egli aveva circa il sapere come si generi il suono; né tutte le esperienze già vedute sarebbero bastate a fargli comprendere o credere che i grilli, già che non volavano, potessero, non con il fiato, ma con lo scuotere le ali, cacciare sibili così dolci e sonori. Ma quando egli credeva di non potere essere quasi possibile che vi fossero altre maniere di formar voci, dopo l’avere oltre ai modi narrati, osservato ancora tanti organi, trombe, pifferi, strumenti da corde, di tante e tante specie, e sino quella linguetta di ferro che, sospesa tra i denti, si serve con modo strano della cavità della bocca per corpo della risonanza e del fiato per veicolo del suono. (Meditazione della favola sulla complessità della natura e la difficoltà di conoscere l’essenza del fenomeno del suono di Galilei Galileo).
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I F L A U T I D I P I E R O
Immortalate canne di Bambù
viventi suoni dal vento umano
dondolanti ai ritmi arcani
squarci di orizzonti panoramici
profumi di nature e fiori.
Sognanti uditi melodiosi
rinascimentali passi danzanti
boccoli di capelli donzelli
arti che muovon leggiadre
arie musicali dei nostri tempi.
Speranze mutanti nell’ère
generazionali drammi e gioie
affratellanze caleidoscopiche
educate all’arte del costruire
strumenti di pace per la pace.
-Renzo Mazzetti-