«Il matrimonio è contratto da due persone di sesso diverso o dello stesso sesso»: la Francia ha fatto il primo passo oggi nella legalizzazione delle nozze tra omosessuali. Si tratta di una promessa di riforma del codice civile annunciata da Hollande in campagna elettorale, e che ora il governo si impegna a mantenere, doverosamente. Anche se il percorso non sarà semplice. Non tanto per le nozze gay, cui la popolazione è favorevole, in maggioranza (del resto il PACS – Pacte civil de solidarieté – esiste in Francia da più di dieci anni), quanto per la questione delle adozioni. Il dibattito si è acceso, in terra gallica: e partiti e opinione pubblica discutono con grande impegno, come avviene in un qualunque paese che non abbia paura di se stesso, ed è consapevole che il proprio patto di cittadinanza è abbastanza forte da contenere al suo interno discussioni pesanti, senza per questo attentare alla legittimità solida delle proprie istituzioni.
La ‘povna, che sui diritti civili ha improntato, da sempre, il valore fondante della propria militanza, guarda quello che accade con un misto strano di ammirazione e di tristezza, alle quali si mescola, stabile, un pizzico di invidia buona. In Italia, infatti, ancora non esiste una legge contro l’omofobia, figuriamoci una carta di reciproci diritti. D’altra parte – lei lo sa bene – il senso profondo della parola laicità resta appannaggio di una risicata minoranza (ne è la riprova l’art. 7), per un insieme di tante colpe, tra le quali però spicca, è francamente innegabile, la presenza ingombrante sul suolo della penisola di quello stato assoluto che si chiama Vaticano.
Per questo non si è stupita che anche oggi, come sempre, il cardinale Bagnasco non abbia voluto approfittare dell’ennesima occasione per star zitto, invece di pronunciarsi, e come, su quanto sta avvenendo in Francia. “Siamo vicini al baratro!” – tuona dal suo pulpito. “L’Italia non deve prendere esempio da queste situazioni che hanno esiti estremamente pericolosi. Non seguiamone le orme” – aggiunge convintamente. La ‘povna non si stupisce (e come potrebbe, dopo aver toccato con mano, orecchie e occhi la contaminazione clericale tra spirito e urna ai tempi del referendum), e però, oggi come allora, si indigna. Perché, come ha già avuto modo di spiegare altre volte, già a lei non sta bene che un potere spirituale debba continuare ad avere – retaggio medievale che risale ai regni romano-barbarici (e alla maledetta donazione di Liutprando) – terreni, castelli, potere temporale, oro e ricchezze. Ma, visto che li hanno avuti, insieme alla concessione unilaterale di parecchie altre cosette (Patti Lateranensi e Concordato di Craxi, do you remember?), sarebbe almeno buona educazione restare nel proprio e stare zitti. E non pensare di avere sempre il diritto di commentare e indirizzare impunemente la politica interna di altri stati.
Perché la ‘povna, che non è credente, rispetta per principio la fede degli altri; e dunque non si sogna di entrare in mezzo a una funzione religiosa durante la comunione dando a tutti dei bugiardi, dei creduloni o dei cannibali (eppure: che si provi a spiegare a una classe di diciottenni, magari di famiglia dichiaratamente praticante, il dogma della transustanziazione). Ma, appunto, quella è casa altrui, questioni di fede, di make-believe, di scelte: la ‘povna non ha pagato il biglietto di ingresso, e, molto consapevolmente, resta fuori. Proprio per questo, però, esige dai credenti – e a maggior ragione da chi quei credenti li governa – l’applicazione dello stesso rispetto. Dunque, se dal confessionale Bagnasco e dopo di lui tutti gli altri vorranno significare ai fedeli che verranno a confessarsi che il matrimonio omosessuale non è ammesso, padronissimi: li scomunichino, li puniscano, li facciano pentire, provino a ricondurli all’ordine. Si tratta di azioni legittime all’interno di un gruppo di persone che ha scelto di aderire allo stesso club, liberamente.
Ma tutti gli altri – quelli che si sentono soltanto cittadini di uno stato non confessionale, altrettanto legittimamente liberi – ne avrebbero pieni i coglioni (giusto per parlare in punta di forchetta) di queste ossessive e inaccettabili ingerenze clericali.
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