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Inguaribile Pierfy. Ora s'è inventato il “patto di pacificazione”

Creato il 11 gennaio 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Inguaribile Pierfy. Ora s'è inventato il “patto di pacificazione”Ma secondo voi Pierfy Casini la notte che fa? Cogita ergo est oppure cazzeggia con il dizionario dei sinonimi e dei contrari? Immaginiamo per un momento la scena. Casa di Casini (suona proprio bene!) immersa nel buio. Interno notte. Dalla camera matrimoniale si sente la voce querula della signora consorte che lo invita ad andare a letto. “Un momento cara – risponde Pierfy – sto pensando all’Italia”. A quel punto la signora Azzurra, che l’Italia se la porta praticamente nel nome, credendo sia una escort di Bologna collega di Rachele, inizia a girarsi nervosamente nel letto fino a quando non compare sulla porta lo statista che, trionfante, le dice: “Si chiamerà patto di pacificazione”. Soddisfatto di se stesso, Casini si infila nel letto e, girandosi dall’altra parte per spegnere l’abat-jour, dice dentro di sé: “Patto di pacificazione...uuaauuhh”. La mattina dopo continua a ripeterlo all’infinito per paura di dimenticarselo e così, invece del pretigno democristiano “buongiorno” con cui saluta di solito i domestici e il portiere, ripete a tutti “patto di pacificazione”. Esce di casa, e al primo giornalista che incontra lo declama con enfasi lasciandolo interdetto. Poi però si ferma e spiega. “Noi siamo un partito responsabile. Noi non vogliamo le elezioni anticipate che per l’Italia sarebbero una iattura. Per il nostro paese siamo disponibili a fare qualunque cosa anche a votare con la maggioranza le proposte serie che vorrà sottoporre al Parlamento. E per proposte serie intendiamo leggi di interesse generale”. Capezzone, Cicchitto e Bondi (sempre più disperato per il voto di sfiducia individuale che lo attende), leggono estasiati il lancio d’agenzia. Capezzone pensa immediatamente che la sua poltrona è salva almeno per i prossimi due anni e mezzo, Cicchitto che può riprendere a giocare tranquillamente con la paletta e il secchiello e Bondi al suo salvataggio in extremis da una figura di merda senza precedenti. Chi però conosce molto bene l’astuzia dorotea dell’ex delfino di Forlani, sa che le parole che dice hanno sempre un duplice significato, se non, a volte, triplice. Così Silvio si fa leggere e rileggere da Bonaiuti le parole esatte che Casini ha pronunciato, e il sospetto che Pierfy gli stia giocando uno scherzo di carnevale prossimo venturo, diventa una certezza quando si rende conto che la ciambella di salvataggio Casini l’ha lanciata all’Italia e non a lui. Il nome “Berlusconi” infatti, non compare mai neppure una volta nel ragionamento del “moscone verde” (i dipietristi sanno a cosa ci stiamo riferendo), e a Silvio la cosa non va giù. L’unico pensiero che gli viene in mente è che Casini stia cercando di arginare in tutti i modi l’emorragia di deputati dell’Udc, di Fli e del Mpa verso la maggioranza. Un modo molto sottile di dire “Noi appoggiamo la maggioranza, che bisogno avete di andarvene?”. E così, invece di rilassarsi come hanno fatto molti dei suoi (Frattini-occhio-di-larva-moribonda compreso), Silvio comanda di continuare l’onorevole-mercato con ancora più vigore. D'altronde lui e Bossi sanno perfettamente cosa significa l’abbraccio di un doroteo, a volte può risultare letale per chiunque gli si avvicini. A questo punto Casini, per rendere più credibile il suo "uccello padulo", da una risposta agli inviti pressanti di D’Alema e di Bersani perché partecipi a una sorta di coalizione per l’Italia insieme al Pd. La risposta di Casini è un “niet” senza possibilità di equivoci. Dice a D’Alema: “Non siamo noi a dover fare una scelta ma il Pd. O dialoga con l'Udc o con Vendola e Di Pietro. Prendere o lasciare”. E mentre D’Alema (quello che dice di avere sempre vinto ma, dati alla mano, ha sempre perso), ci sta pensando davvero, Vendola e Di Pietro si stanno ancora chiedendo chi diavolo abbia fatto fare tanta strada al politico più antipatico e  pasticcione della storia repubblicana, al cui confronto Carlo Donat Cattin era senza più dubbi ormai, “mister simpatia”. Contrariamente a quanto avvenuto per le sentenze precedenti della suprema Corte (quella Costituzionale, nda.), stavolta tutti sembrano quasi infischiarsene del pronunciamento di giovedì sul legittimo impedimento. La ragione è che qualunque sia il verdetto, Silvio se la scampolerà visto che uno dei tre procedimenti al quale è sottoposto andrà in prescrizione a ottobre mentre per gli altri due sono addirittura cambiati i collegi giudicanti, quindi, dovranno ricominciare daccapo. Quello che c’è davvero in gioco è il “prestigio” del presidente del consiglio, l’ennesima bocciatura di una legge che lo riguarda sarebbe infatti uno scorno d’immagine che nella sostanza però non modificherebbe alcunché. E qualcuno può davvero pensare che a Silvio interessi qualcosa salvare la sua immagine di statista onesto?

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