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Quattro contendenti, due uomini e due donne, si sfidano a mani nude, a colpi di pietre e spranghe di ferro, nel tentativo di sopravanzarsi l'un l'altro ed eliminarsi a vicenda. Il loro abbigliamento, camicie bianche e cravatte nere che tanto ci ricordano le iene di Tarantino, ci lascia supporre (complice il titolo del film) che siano impiegati o al limite ex-impiegati. Si muovono in un’ambientazione squallida e deserta, fabbriche abbandonate ed edifici non meglio identificati tutt’attorno. Non è chiaro, almeno inizialmente, il contesto temporale. Un futuro alternativo? Un presente alternativo? Sporadiche inquadrature, evidentemente provenienti da una webcam installata addosso ai protagonisti, ci fa pensare a dei cyborg. Avete presente il punto di osservazione del Terminator? Ecco, è qualcosa di simile. In realtà, ci si rende ben presto conto, i punti di osservazione delle webcam non corrispondono allo sguardo dei protagonisti: sono semplicemente delle cams miniaturizzate appuntate ai taschini delle loro camicie. Il gioco al massacro continua per circa 18 minuti (sui 21’48” totali), dopodiché tutto viene rivelato.
Chi ha visto Exam, un geniale film inglese del 2009, ahimè tristemente inedito in Italia, non ci avrà messo molto a fare due più due: si combatte per un posto di lavoro, in un futuristico mondo spietato e crudele, dove la “selezione del personale” è divenuta letteralmente tale.
E’ davvero questo ciò che ci aspetta? Guardiamoci attorno. Trovare lavoro oggi è già praticamente impossibile. Chi un lavoro ce l’ha, teme ogni giorno di perderlo. La benzina è aumentata a dismisura, tanto che muoversi è ormai diventato un lusso. L’IVA è al 21% e presto probabilmente ce la ritroveremo al 23%. Le aziende dovranno trovare il modo di rientrare nei costi per non dichiarare fallimento. La domanda non sarà più in grado di coprire l’offerta. Si dovrà di conseguenza produrre di meno e molti posti di lavoro dovranno essere tagliati. Tagliati con l’accetta. Una volta fuori dal mercato del lavoro sarà impossibile rientrarci. Ci verranno chiesti ulteriori sacrifici, ma saranno presumibilmente inutili per via di qualche speculatore che farà sparire tutto in un nuovo pozzo nero. E saremo ancora daccapo. E allora ancora sacrifici che ad un certo punto non saremo più in grado di dare. Nessun posto di lavoro è ormai sicuro. Ci vorranno decenni per stabilizzare l’economia e, nel frattempo, migliaia e migliaia di famiglie si saranno arrese alla povertà. Le banche non saranno più un rifugio per i nostri risparmi. Aumenterà la criminalità. Si diffonderanno malattie che si credeva fossero debellate. Ogni residuo di dignità umana sarà scomparsa. Dovremo combattere per sopravvivere. È questo quindi che sta cercando di comunicarci il film? Siamo ad un passo dal realizzare quanto Michele Pastrello ci ha mostrato? Oppure ci siamo già dentro fino al collo? Inhumane Resources è una metafora, semplice ma efficace, del buco nero in cui viviamo e in cui probabilmente continueremo a sprofondare, ma è anche una metafora del mondo del lavoro come già oggi lo conosciamo, dove la competizione feroce uccide, dove non c’è spazio per la compassione e la solidarietà, dove il pesce piccolo è destinato a finire divorato dallo squalo, dove i più deboli perdono tutto, il lavoro, la famiglia, il rispetto, ma anche il morale, la fiducia in se stessi e la forza di andare avanti.
Eccellente il lavoro di Pastrello che dimostra qui tutto il suo talento. Una fotografia elegante e un sapiente uso del diaframma rendono Inhumane Resources un’esperienza indimenticabile anche dal punto di vista visivo. Raccomandatissimo!
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