25 dicembre 2011 Lascia un commento
Ancora una storia familiare in questa sua opera del 1956, vita di una giovane coppia di sposi e la scomparsa drammatica e non traumatica di un figlio ma il lavoro di lui e un probabile lutto non completamente elaborato, fara’ cadere l’uomo nelle braccia di una intraprendente collega di lavoro, spingendo la moglie a lasciarlo per poi ricongiungersi nel finale.
Trama semplicissima, come del resto lo sono i soggetti del Maestro, seppur vi siano elementi di novita’ rispetto la corposa filmografia dal dopoguerra sino alla prematura scomparsa il giorno del suo sessantesimo compleanno.
Girato tre anni dopo "Tokio monogatari"-"Viaggio a Tokyo", gia’ il lungo periodo d’inattivita’ e’ inusuale e anche in ottica retrospettiva, si fa forte il confronto col capolavoro col quale Ozu viene ricordato, confronto comunque improprio dal momento in cui la struttura narrativa composta da antefatto – fatto e conseguenze – risoluzione, lo avvicina maggiormente agli altri film rispetto il suo precedente.
Lunga durata, il piu’ lungo tra i suoi, seppur non vada molto oltre la sua media.
Non rinuncia alla consueta 50mm a mezzo metro da terra con la prospettiva, la posizione ed il montaggio che hanno fatto di lui un esempio immortale per chiunque s’interessi di cinema ma clamorosamente aggiungo, troviamo sequenze anche piuttosto lunghe con la telecamera in movimento, seppur nel suo stile e coi soggetti perfettamente centrati e immobili su uno sfondo che scorre con la velocita’ di una passeggiata.
Non e’ la prima e non sara’ l’ultima volta ma dopo ore e ore di Ozu a camera fissa, la carrellata fa un certo effetto.
Trama semplice si diceva ma v’e’ una sottotraccia un po’ piu’ marcata del solito.
Ozu e’ un realista, verista nell’etimo e non si pone in contesti diversi dal racconto eppure e’ forte lo smarrimento dei protagonisti innanzi al lavoro frenetico e gia’ inserito in un ambito all’occidentale che sappiamo osteggiato da Ozu o per meglio dire, egli fu un uomo all’antica, uno che credeva nelle salde tradizioni del suo popolo che seppe anche accettare la sconfitta ma non il cambio d’abitudini conseguenza della rinascita economica e indirettamente dal colonialismo culturale occidentale e la sua battaglia fu combattuta con garbo e rispetto usando come arma la rappresentazione della nobilta’ degli affetti e il coraggio d’affrontare le avversita’.
In "Inizio di primavera" si evidenzia che il togliere l’uomo da un contesto piu’ intimo e familiare gettandolo in un gorgo distruttore di sentimenti generato da distacco e valori indotti e non naturali, e’ deleterio e non funziona.
Non c’e’ la denuncia sanguigna di Mishima o il populismo politico di Oshima e Imamura ma col suo tocco delicato resta un’amara constatazione di quanto si sarebbe poi effettivamente perduto con la ricostruzione economica e sociale del Giappone.
Una volta tanto infine, Ozu non aumenta gli anni al suo attore feticcio Chishu Ryu che in questa occasione non e’ il consueto vecchio e benevolo padre, facendogli quindi interpretare un personaggio molto garbato ma con l’eta’ sua reale, creando cosi’ un piccolo, divertente e malgrado tutto straniante effetto.
A questo punto resta da parlare dell’importante cofanetto della RaroVideo che oltre a "Inizio di primavera" contiene "Viaggio a Tokio" e un prezioso e ben fatto volumetto di analisi critica curata da Enrico "chimischiodadallaRai" Ghezzi.
Edizione di prestigio come tradizione della RaroVideo, casa di distribuzione con la quale sovente non condivido le scelte editoriali ma che non posso esimermi dal ringraziare per il pregio, la cura adoperata nei confronti dei loro film e il rispetto per la sovranita’ dell’arte cinematografica.
Per non dover dire nulla ho detto anche troppo, mi si lasci quindi riacquistare il silenzio dovuto sperando sia evidente l’importanza di Ozu per me e per il cinema tutto e quanto sia necessario passare per queste maglie prima di ammantarsi di settima arte.