Ricordate che qualche mese fa vi avevo parlato dell’impegno che ho assunto, a titolo di volontariato e del tutto gratis et amore dei, di insegnare lingua e cultura italiana agli immigrati? Ecco qualche aggiornamento sulla mia nuova bella esperienza, e siamo già ai primi sei mesi…
Questa idea già mi frullava in testa da un po’ e le mie specializzazioni post lauream in didattica della lingua seconda e in mediazione culturale hanno finalmente reso possibile il contatto con i diversi enti onlus del territorio in cui vivo, che offrono servizi gratis in sinergia ai nuovi arrivati dai paesi del mondo, la Caritas in prima linea, insieme ad altre associazioni laiche e con l’aiuto di un parroco giovane e non fondamentalista che ha offerto la disponibilità dei locali del suo oratorio persino per realizzare in futuro un centro interculturale interreligioso.
Così, insieme ad un’amica ho iniziato a confrontarmi con la realtà degli immigrati, credendo di avere esperienza pregressa, in quanto da molti anni a scuola svolgo l’incarico di funzione strumentale per l’integrazione degli alunni stranieri. Ma era tutto diverso, ed in questi mesi ho imparato molto dai miei “allievi” .
Si tratta di un gruppo di multietnica estrazione, piuttosto variegato e molto folto. In un primo periodo, grazie all’accordo con un Centro di accoglienza vicino casa, predominavano i nigeriani. Tutti giovani, sempre sorridenti, eppure se si approfondiva l’argomento “arrivo in Italia” uscivano fuori storie di viaggi a piedi attraverso l’Africa per raggiungere la Libia e barconi fortunosamente scampati al naufragio nel Mediterraneo. Eppure a questi ragazzi non mancava mai l’allegria, e probabilmente la speranza fa parte del bagaglio con cui sono venuti nel nostro paese, testimoniata dai nomi di battesimo fortemente evocativi posti loro dai genitori, Happy, Famous, Destine e via del genere. Ma dopo poche settimane questi ragazzi sono stati smistati ad un centro lontano dalla mia cittadina e non li abbiamo più visti.
Il secondo gruppo è di origine orientale: pachistani e afghani, principianti assoluti della lingua. Si presentano a gruppi familiari, madre, padre, neonati, diversi figli bambini e giovanetti con i compiti scolastici da svolgere, ed infatti a qualche settimana mia figlia ventenne è stata arruolata per aiutare i bambini negli esercizi. Tra tutti loro io sono affascinata da Yasmine, una giovane mamma pachistana trentaduenne con già quattro figli che spaziano dai 16 anni agli otto mesi (e si, deve essersi sposata giovanissima). Yasmine sorride sempre in modo dolcissimo e vuole imparare l’italiano per diventare estetista. Il marito, di qualche anno più grande di lei la sostiene con orgoglio.
Il terzo gruppo è composto da romeni e lituani. Per loro l’apprendimento della lingua italiana non è un fatto di comprensione o di espressione, come per gli orientali o gli africani, perchè si sanno esprimere già bene in italiano, anche se si trovano in Italia da pochi mesi, quanto un ausilio per imparare a scrivere correttamente. Sono tra loro operai, ex maestri che hanno preferito lasciare il paese per lavorare come carpentieri in Italia, signore che lavorano come badanti ma sono state contabili di provata esperienza nel loro paese, ragazze alla ricerca di un lavoro e di un futuro migliore. La più costante alle lezioni è Doina, una signora quarantenne che ama leggere e che è molto motivata ad afferrare i meccanismi più raffinati della lingua italiana.
Di solito, la mia amica ed io lavoriamo per gruppi distinti, visto il dislivello di abilità linguistica. Ma la scorsa settimana, essendo la mia amica ammalata di influenza, ho riunito i due gruppi insieme per una lezione diversa, basata sulle canzoni italiane, portandomi da casa il pc portatile. Alla domanda “quale canzone italiana conoscete maggiormente?” la risposta unanime, sia dai pachistani che da parte rumena e lituana è stata “L’italiano” di Toto Cutugno.
La signora Doina deve aver visto la mia espressione un po’ perplessa e mi ha spiegato che, negli anni duri della dittatura di Ceausescu, per molti romeni semplicemente ascoltare le parole di questa canzone faceva loro immaginare l’Italia un luogo di libertà e di sogno. Avere “un partigiano come presidente, la chitarra in mano e cantare piano piano” dava loro l’idea di fierezza e di indipendenza. Questa sua considerazione mi ha colpito molto e ho riconsiderato il messaggio della canzone che ho sempre ritenuto un po’ trash.
Così , con il testo alla mano, abbiamo cantato insieme L’italiano e poi Volare, il cui testo si prestava molto anche alla spiegazione dei verbi di prima coniugazione. Poi ho proposto a ciascun gruppo di cantare i loro inni nazionali, partendo da quello del Pakistan. Immediatamente il gruppo multicolore di signori baffuti, signore e ragazze dai neri capelli e dalle tuniche lunghe, bambini di incredibile bellezza si è alzato in piedi all’unisono e tutti si sono posti la mano sul cuore, intonando un canto molto suggestivo (chi volesse sentirne la melodia, può seguire questo link ) .
Poi è toccato al gruppo di romeni (i lituani erano assenti, quella sera) ed ho scoperto l’esistenza di un inno nazionale di incredibile bellezza con parole toccanti che evocano le nostre radici comuni latine (ecco il link all’inno romeno) :
“Svegliati, Romeno
Risvegliati, rumeno, dal sonno della morte,
Al quale ti hanno sprofondato i barbari tiranni!
Ora o mai più ritaglia il tuo destino
al quale dovranno inchinarsi anche i tuoi crudeli nemici!
Ora o mai più diamo prova al mondo
Che in queste mani ancora scorre il sangue dei Romani,
E che nei nostri petti conserviamo con orgoglio un nome
Trionfatore in battaglia, il nome di Traiano!”
Ed infine…e si, poi mia figlia ed io abbiamo intonato Fratelli d’Italia davanti a 30 persone di altre nazionalità che ci ascoltavano con aria interessata e curiosa. Non è che mi capiti spesso di cantare l’inno nazionale, no?
Ma vi confesso, mi sono sentita felice di rappresentare il mio paese. Alla fine eravamo tutti commossi e orgogliosi di questo scambio.
Le volte successive che ci siamo incontrati, l’atmosfera era più cordiale, rilassata. Come se fossimo diventati più intimi.
Perchè, quando si cantano gli inni in un’aula diventata territorio internazionale, è come quando mangi insieme….non si diventa soltanto cittadini del mondo, si sperimenta l’inizio di una Amicizia.