Chiamatele, se volete, emozioni. Vi risponderanno con nomi di battesimo semplici e inconfondibili come Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto. Non esattamente l'intera gamma dei sentimenti di cui è fatta la coscienza dell'essere umano ma quelli essenziali che abitano (e agitano) l'anima di una cucciola che non conosce ancora la malizia o la diplomazia.
Il ventaglio emotivo necessario e sufficiente a raccontare una storia, la più nota di tutte, come se fosse ancora la prima volta. La nostra prima volta ovviamente. Perché in questa occasione la Pixar, sorprendente fabbrica di capolavori moderni e trattati di psicologia in salsa animata, compie un balzo ancora più audace e universale rispetto a quelli già realizzati in passato, consegnandoci un'opera che è non soltanto cinema totale (con buona pace di chi, miseramente, vede il cinema d'animazione solo come "cartoni animati"), ma una specie di kammerspiel intimista e rutilante, destinato ad abbracciare lo spettatore di qualsiasi età, estrazione e latitudine.
Inside Out è il titolo di questa folgorante impresa e probabilmente non sarebbe potuto essercene un altro migliore. "Fuori" (out) sta la scorza leggera di una bimba qualunque (ma "unica" come tutti gli esseri umani), alle prese con la complessa avventura della quotidianità e un'odissea chiamata crescita. "Dentro" (inside) ci sono le emozioni, quelle cinque emozioni essenziali scomposte come colori primari venuti fuori da un prisma attraversato dalla luce. Una luce che si chiama personalità.
"Dentro il fuori" è l'avventura che le racconta e che, nel suo svolgersi, le fa "rinascere" letteralmente dinanzi a noi attraverso una danza surreale, sofisticata e genuinamente toccante. Perché quei buffi omini che si contendono gli spazi nella testa della bambina, determinando fra altalene umorali e battibecchi fraterni il necessario equilibrio infantile, sono sì proiezioni antropomorfiche (in senso disneyano s'intende) di un concetto apparentemente irrappresentabile, ma anche l'ardita (e serissima) spettacolarizzazione di un'idea. Quella inconfutabile secondo la quale l'adulto altro non è che il frutto di un compromesso necessario, il risultato scaturente da dinamiche interne, qui mirabilmente rappresentate come meccanismi efficienti che reggono una frenetica fabbrica-ipotalamo.
E si tratta di un equilibrio che va costantemente monitorato e tutelato, facendo salve quelle cattedrali della memoria che sono il patrimonio silenzioso da cui (inconsapevolmente) proveniamo tutti. È qui che risiede l'intuizione fondamentale della Pixar, semplicissima naturalmente ma dotata di una profondità che lascia stupefatti. Perché l'accidente da cui scaturisce la narrazione di Inside Out, e che funziona come pretesto per scatenare l'azione e consentire l'esplorazione di questo universo della mente, è proprio la messa in pericolo di una simile armonia, provocata dallo smarrirsi di Gioia e Tristezza all'interno del subconscio di Riley.
Lasciato in balia di emozioni più "impulsive" (Rabbia, Paura e Disgusto) quel mondo rischia infatti di implodere, trascinando con sé architetture della personalità e memorie a lungo termine e logorando la soggettività della bambina. Sarà l'alleanza fra quelle due emozioni così antitetiche eppur complementari a risanare l'intero complesso, saldandolo attraverso nuove ed inattese dinamiche. Sembrerebbe materiale per un pubblico d'autore ma invece è la sostanza di cui è fatto un cinema universale, articolato ma sempre accessibile, proprio come lo sono i sogni. Per entrarvi occorre solo essere stati bambini e non essersene mai dimenticati. Perché, al netto dell'avventura ritmata e multi cromatica, qui, tra isole della personalità scintillanti come luna park, tetre discariche dei ricordi e i territori insidiosi del pensiero astratto, si sondano regioni che tutti, almeno una volta, abbiamo attraversato.
Un viaggio colmo di suggestioni pittoriche e citazioni cinematografiche, ma fondato sulla semplicità di emozioni condivisibili e su quei micro-traumi che ci ammaccano come macigni durante l'infinita pre-adolescenza. La Pixar decostruisce ancora una volta l'infanzia, filtrandola attraverso i cristalli saturi e brillanti del suo caleidoscopio ed aggiungendo - dopo quello per mostri ( Monsters & Co.), balocchi ( Toy Story) e affetti familiari ( Alla ricerca di Nemo, Up) - un altro prezioso prontuario per indagare quell'essere candido, misterioso e pietoso che è l'uomo.
È il vademecum della memoria. A voler individuare una delle (molteplici) chiavi di lettura di Inside Out è proprio la celebrazione della memoria quella che più sconvolge e tocca nel profondo. Quei ricordi o magari quei parti fantasiosi della mente (Bing Bong) che giocoforza siamo stati costretti ad abbandonare per trovare un nuovo assetto psicologico nel mondo che sarebbe arrivato. Guardarli sfumare è doloroso benché si tratti di un'amputazione silente e quasi incosciente. Non importa però che siano stati sacrificati, sembra suggerire il film, perché l'essenziale è non essersi dimenticati di averli cresciuti ed amati. È questo il sentimento, nuovo sì ma forse somma di tutti gli altri cinque, che vi accompagnerà al termine della proiezione insieme alla commozione. Sono le lacrime di Tristezza, calde però come il sole di Gioia. Il miracolo dell'anno.