Ecco, a proposito di personaggi scritti male, di paura e di strani percorsi.
Io non ho mai fatto parte del fandom horror, ovvero di quella cerchia (molto estesa) di appassionati del genere, che vanno in giro sui blog a scambiarsi sempre le stesse osservazioni sempre sugli stessi film. Non è una critica, è solo frutto di anni di studio.
Ebbene, io non ci riesco.
Per me l’horror va preso col contagocce, preferendo in ogni caso la fantascienza, quella space opera che già mostrando uno squarcio di spazio profondo fa strizzare.
O almeno, questo era ciò che pensavo fino a… l’anno scorso.
Sì, procedo mescolando il tempo, come fa Wan nei suoi Insidious. Nel 2012 qualcosa è cambiato, ho scoperto di apprezzare l’horror e di essere pure bravino a ricrearne qualche sfumatura coi miei racconti.
L’unica cosa che non è cambiata è che sono ancora estraneo al fandom. E i film non li vedo perché sì, perché esistono e li aspetto con ansia, ma perché li scelgo e mi va. Sperando di ottenere in cambio un po’ di sano spavento.
E quindi James Wan l’ho conosciuto in maniera anomala. Ho ignorato bellamente Insidious (QUI recensito dalla mia amica Erica), sebbene ne avessi letto recensioni entusiastiche, e mi sono guardato The Conjuring.
E di The Conjuring ho scritto una recensione entusiastica. Pur sopportandone i tarallucci e vino che esplodono nel finale come un fuoco d’artificio.
Ho altresì scoperto che coloro (o almeno la maggior parte) di quelli che avevano incensato Insidious hanno odiato The Conjuring.
Mi pare perfetto. Io e il fandom siamo agli antipodi. Come sempre.
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Perché, dopo la visione dei due Insidious, a me The Conjuring continua a piacere. Ma lo considero ormai un fortunato incidente di percorso di Wan. Perché, di contro, la visione degli Insidious, è quasi insostenibile.
E forse è solo affinità di temi. In un certo senso, quell’infarinatura pseudo-religiosa (pur derivante dalla storia vera) che ha fatto storcere il naso a molti, continua a piacermi da matti, mentre Darth Maul attaccato al soffitto della camera del bambino nel primo Insidious mi fa sganasciare dalle risate.
No, non ci credo che non si tratti di un omaggio a Star Wars (in un film horror), quando lo sceneggiatore che si condede una parte nel film, pochi istanti prima, esplorando la casa infestata fa la battuta da nerdaccio senza speranza sul preziosissimo modellino collezionabile che non doveva essere estratto dalla confezione.
Ma fosse solo quello, il problema.
Le cose assumono una sfumatura surreale già dalla conversazione di moglie (Rose Byrne) e marito (Patrick Wilson) sotto il portico della loro casa, lui rientrato tardi da lavoro.
Lei sente i rumori, le voci, vede gli spiriti, consegna a lui un lenzuolo con l’impronta di sangue. E lui fa la faccia di quello che vuole ritornare a scuola a correggere i temi, perché sta risolvendo al questione a modo suo.
E sinceramente, se la mancanza di riferimenti religiosi si risolve in uno show stile Vanna Marchi, con la cosiddetta sensitiva che conduce sedute spiritiche dove tutti volano contro le pareti e non si procurano nemmeno una piccola frattura, be’… il solco è tracciato. E non si torna indietro.
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Questa ricercata mancanza di riferimenti culturali è pesantissima, priva gli spiriti di ciò che li rende spaventosi, ovvero la cattiveria legata a una vita di traumi subiti. Che attenzione, non devono per forza essere fisici, ma psicologici. E non c’è, di solito, trauma in una famiglia che è allegra, non infestata da sciocche credenze religiose riadattate alla follia corrente. Ricordate soltanto la scena in cui Carrie White viene rinchiusa dalla mamma nello sgabuzzino, perché deve pregare. Ricordate quanto è spaventosa la statua di Gesù Cristo?
Perché la religione sedimenta nella millenaria storia umana. Lo spirito fantastico, che non è cattivo perché maledetto da Dio, ma solo perché gli piace, lo smitizza: subito. Immediatamente.
In Insidious c’è una componente fantasy, quasi, che riduce le entità malvagissime (ma soltanto di nome, perché in quanto a fatti, questi demoni non fanno un beneamato cazzo, basta una spinta e il demone cattivissimo e malvagissimo che vuole uccidere tutti se ne va di culo per terra) a macchiette. Macchiette di fantasmi costruite alla maniera di, ossia puro manierismo horror. Che poi è quello che Wan fa.
Tipo il demone Darth Maul che, nell’Altrove, cuce (?) degli abiti in un soppalco stracolmo di bamboline. Una visione, pure bella, lo ammetto, perché surreale e ben realizzata, che mi ha ricordato Legend di Ridley Scott, non un horror, dove, di fatto, la tensione, pur facendo ricorso, il buon Wan, a tutti i trucchetti che conosce bene, cigolii, sbalzi di volume, apparizioni improvvise, latita, in primis dal volto di tutti gli attori.
Patrick Wilson sembra abbia preso una botta in testa, quindi gira con la faccia sconvolta, come da commozione cerebrale.
Rose Byrne sembra strafatta di tranquillanti. E sembra voler essere altrove, magari sull’astronave di Sunshine che non lì a fare la mamma preoccupata perché vede l’uomo nero accanto alla culla della sua bambina.
Il bambino dorme per davvero.
E Vanna Marchi (e i suoi assistenti Gianni e Pinotto) vaneggia di percorsi astrali, come in una partita a Dungeons & Dragons.
Però, ehi, abbiamo ottenuto il film fantastico senza la zampaccia della religione kattiva.
Un viso per come mi sento.
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E questo è solo il primo Insidious.
Il secondo è pure peggio.
Già le premesse sono abbastanza ridicole.
Nel primo film si scopre che non è la casa a essere infestata, ma il figlioletto. Quindi da dove nasce il bisogno di traslocare per la terza volta?
Forse dal dare lavoro a qualche carpentiere.
Ma non è tutto. Rose Byrne è ormai abituata ai fenomeni che l’hanno sconvolta nel primo film, quindi non appena, alzatasi di notte, comincia a sentire:
sussurri
passi
il pianoforte che suona da solo (!)
va giustamente dal marito e dice, guarda che non abbiamo risolto nulla.
Ora, come si fa, dopo tutto il casino successo nel primo film, a dire che: non è vero niente, i fantasmi o sono inesistenti, è tutta suggestione, oppure se ci sono bisogna ignorarli?
Come si fa a scrivere una roba del genere? E a far agire i personaggi di conseguenza, come se tutto ciò fosse sensato e coerente?
Non lo so.
Probabilmente a causa dei fantastiliardi guadagnati con The Conjuring. Ormai Wan può scrivere di fantasmi/asini alati e maiali mascherati e tutto il mondo dirà che è un figo. Le cose funzionano così da sempre.
Buon per lui. Ha trovato il modo, è in gamba, la gente vuol lavorare con lui. Spettacolo. Lo invidio, persino.
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Il secondo episodio, che si conclude in modo ancor più surreale del precedente, ché non so voi, ma se io vedessi mio padre che tenta di ammazzarmi, spirito o non spirito, non correrei dopo cinque minuti ad abbracciarlo, vabbé…, il secondo episodio è l’ennesima riproposizione dello schema fisso, sussurri, suoni, pianoforti, voci e fantasmi…
Cose che a Wan terrorizzano molto, ma che… anche no.
Che c’ero pure io al cinema, ad ascoltare le risate della platea. La gente rideva (salvo poi collegarsi a internet e scrivere che è un filmone da paura). Dopo un po’ ho iniziato a farlo anch’io. A ridere, intendo.
È sempre la solita questione del genere. E del fandom che lo governa. Una roba noiosa.
Ovvero: alla gente piacciono i fantasmi. E allora gli vengono dati fantasmi. Sempre uguali, che fanno sempre le stesse cose.
E la gente è soddisfatta. E vorrà vedere sempre e solo quello, subendo passivamente, perché distratta dal bubbolino rappresentato dalla vecchia megera che urla “Non osare!” e schiaffeggia Rose Byrne, ogni follia presente in fase di scrittura, di creazione di storia e personaggi, che sono credibili come una scoreggia ectoplasmica.
Non vuole la religione, perché è brutta e cattiva, e perché è tanto cool, oggigiorno, scrivere status antireligiosi su facebook. Ma vuole i demoni, che sono in ogni caso una roba religiosa. Quindi si scende a un compromesso: i demoni puccettosi che fanno le boccacce, o le vecchiette con lo scialle in testa che vanno in giro nei corridoi con le candele e fanno vestire i loro bambini come fossero bambine, perché pure il trauma pregresso è immancabile.
Così come Vanna e i suoi assistenti.
Ma a parte Wan (non Vanna), l’horror continua a piacere, se ne riesce a ricavare un film buono ogni dieci anni, forse. Forse è bello anche per questo. Il resto è manierismo. Che poi è quello che porta soldi. E i soldi sono importanti anche loro.
E tutti vissero felici e contenti.