Magazine Cinema
di Leigh Whannell
con Delmot Mulroney, Stefanie Scott, Lin Shaye
Usa, 2015
genere, horror
durata, 97'
Se per molto tempo horror e porno sono stati considerati due generi “minori” in un'ipotetica scala gerarchica, non è stato solo per un banale pregiudizio accademico (simile a quello artistotelico che nel passato ha pesato a lungo sulla commedia) ma anche e soprattutto a causa delle limitazioni intrinseche di due generi che sono, per natura, vincolati a una precisa interazione con il pubblico, volta a suscitare un altrettanto preciso tipo di reazione.
Se per il porno il problema viene sovente superato con la sovrabbondante esposizione di carne siliconata, non diversamente fa l'horror ricorrendo a jumpscare ed effetti speciali, nello stesso modo abusato e in ultimo controproducente.
Ciò avviene anche per un film basato su un'idea non originale ma funzionale: il risvolto negativo dell'interazione fra il mondo dei vivi e un ipotetico Altrove, la dimensione oscura abitata da non meglio precisate creature votate al male.
L'innesco è tradizionale e costituisce un prequel per la saga di Insidious: il tentativo infantile di un' adolescente (Quinn Brenner) di contattare lo spirito della madre defunta e la lotta contro l'entità erroneamente richiamata dalla veggente, sorta di punizione divina per la giovane ubristes.
Una storia che dovrebbe trarre forza da una regia posata ed elegante com'era quella di Wan, piuttosto che perdersi in tortuose e in ultimo incoerenti spiegazioni mistico-teologiche sul mondo delle creature oscure, rivelando una sottesa divisione manichea fra anime “buone” e “cattive” che non solo non viene approfondita – sebbene non ce ne sarebbe nemmeno bisogno –, ma non ha altro fondamento se non la necessità narrativa di creare un antagonista.
Ma come già accennato, non è la scrittura a fallire ma la regia. La gestione del ritmo fa sì che lo spettatore venga avvertito in tempo dei tanti – troppi – jumpscare dall'incipiente incupirsi della fotografia e della musica. Pur non riuscendo tuttavia a contrastare fisiologicamente l'esplosione – metaforica fino a un certo punto – dello spavento.
Con una narrazione che si fa sempre più rapida senza preoccuparsi di vanificare i pochi momenti riusciti del film, ovvero quelli in cui i due mondi si compenetrano, senza bisogno che la trance preannunci la comparsa – quasi sempre prevedibile – della creatura demoniaca.
Whannell non è riuscito a imparare dall'amico Wan l'importanza del ritmo e, pur confermandosi un passabile sceneggiatore, fallisce come regista.
Michelangelo Franchini
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